Un papavero gigante, un filo legato allo stelo, una donna che tiene l’altro capo perché due bambini lo possano saltare. E in alto una data: 25 aprile. La copertina del nuovo numero dell’Espresso è un omaggio di Mauro Biani alla Festa della Liberazione. Alla staffetta tra nonni, genitori e figli ancorata a un fiore che indica speranza anche se nasce dalla sofferenza: è «il fiore del partigiano morto per la libertà», è uno dei «mille papaveri rossi» dell’inno pacifista di De André.
Alla ricorrenza è dedicato un lungo reportage di Daniele Molajoli commentato da Susanna Turco. I luoghi della resistenza nella Roma occupata dai nazifascisti tornano in una serie di immagini di oggi: dal Portico d’Ottavia del rastrellamento del ghetto al muro delle fucilazioni a Forte Bravetta, al Ponte sull’Aniene dove i nazisti in fuga uccisero l’ultimo partigiano morto a Roma, il dodicenne Ugo Forno.
Se le fotografie di Molajoli giocano sul contrasto straniante tra passato e presente, all’interno del giornale la ricorrenza è riportata dichiaratamente all’oggi, ai tanti conti aperti che il Paese deve affrontare in questi giorni. Una serie di focus che Marco Damilano riassume e inquadra nel suo editoriale.
Si parte dalla giustizia: Paolo Biondani intreccia voci di giudici illustri per ricostruire la crisi della magistratura mentre Massimo Cacciari sentenzia: di fronte a questo disastro nessuno può dirsi innocente. La scontro tra industralizzazione e ambiente è simbolizzato dall’Ilva di Taranto: Vittorio Malagutti e Gloria Riva raccontano il futuro dell’azienda, che sogna l’idrogeno ma affronta lo stallo tra lo Stato e l’altro proprietario, Arcelor Mittal. Il mondo della cultura intanto boccheggia e Fabio Ferzetti elenca speranze e timori dei cinema alla vigilia della riapertura.
Enrico Bellavia e Antonio Fraschilla incrociano quattro inchieste della magistratura per ricostruire la rete delle mafie che si spartiscono il traffico di benzina e petrolio, dove «si fanno più soldi che con la droga».
Francesca Fagnani rivela quanti misteri ostacolano la ricerca dell’assassino di Diabolik, leader degli ultrà laziali ucciso a Roma due anni fa, mentre Sara Lucaroni racconta la battaglia di una “madre coraggio” per avere giustizia per il figlio morto nel crollo della torre piloti di Genova. Carlo Tecce firma un ritratto di Salvo Mizzi, manager a 5 stelle che distribuisce finanziamenti pubblici a pioggia, mentre Gianfrancesco Turano commenta il caso Superlega, frutto di una impasse che si potrà risolvere solo con la collaborazione di tutti i poteri del mondo del calcio.
In Europa, ammonisce Gigi Riva, torna il fantasma degli stati etnici che già più volte hanno insanguinato i Balcani. Un’inchiesta di Federica Bianchi invece racconta come l’Unione rischi di franare sui diritti umani calpestati dal fronte antidemocratico che lega i Paesi dell’Est. Ed Eugenio Occorsio fa un confronto impietoso tra le briciole messe in campo dall’Europa e il fiume di dollari investito dagli Usa per la ripartenza post-Covid.
Altan filosofeggia sulle sfumature della disperazione, Makkox scopre l’ispiratore occulto del flop Superlega e Michele Serra annuncia che il modello per ora verrà applicato a scuola, dove i ricchi non saranno bocciati mai più. Michela Murgia spiega perché è importante, nell’emergenza psicologica che sta seguendo la pandemia, parlare della psicoanalista del Papa mentre Massimiliano Panarari invita a meditare sulla parola della settimana: riformismo
E L’Espresso chiude con un lungo focus sull’Intelligenza artificiale a cui hanno collaborato con tre articoli Simone Pieranni, Chiara Valerio ed Emanuele Coen, e con un’intervista di Anna Bonalume alla filosofa francese Barbara Stiegler, molto critica sui diktat sanitari giustificati dalla pandemia. Giuseppe Genna invece conversa con Wu Ming1. Argomento: l’epidemia di complottismo incarnata dal movimento americani QAnon, che proprio a un libro dei Wu Ming deve l’ispirazione per la sua Q.