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Politica
luglio, 2021

Da “Che fai, mi cacci?” a “Che fai, Michetti?”: Salvini, Meloni e un centrodestra di cartapesta

Divisi su tutto, da Draghi all’Europa. In lite sulle poltrone, ma timorosi di governare davvero. Lega e Fratelli d’Italia visti da Filippo Rossi, intellettuale che scende in campo per una destra normale

Da «Che fai, mi cacci?» a «che fai, Michetti?»: praticamente una parabola da incubo. Eccolo, in sintesi, tutto il disagio per una destra che si è fatta sovranista, «fugge dalla politica, ma idolatra lo scontro», «trionfa nella propaganda», «vuole le poltrone ma non la responsabilità di governare». Una destra «sparante, anziché pensante», come dimostra «il pronto intervento del leader nel difendere un uomo che girava con una pistola in tasca», l’assessore alla sicurezza di Voghera, il leghista Massimo Adriatici. Lo racconta Filippo Rossi, 55 anni, giornalista, una vita a fare cultura da destra, inventore del festival Caffeina, autore di libri come “Fascisti immaginari” e “Dalla parte di Jekyll”, tra gli intellettuali che diedero corpo allo strappo di Gianfranco Fini dal «partito azienda» di Silvio Berlusconi e vita alla breve esperienza di Futuro e libertà.

 

Da sempre fautore di una «destra garbatamente normale» che gli è valsa (da destra) l’accusa di essere forse «un comunista», addirittura un «veltroniano di destra», di certo un «traditore» - come ebbe a proclamare Gianluca Iannone di Casapound, prima di prenderlo a pugni - Rossi soffre mortalmente per il dominio del duo estremista Salvini-Meloni, è convinto ci sia «un sacco di gente che si vergogna di questa destra, ma la vota perché non ne ha un’altra». Adesso che, anzitutto per questo, si è rimesso a fare politica - lavora a fondare un partito, la “Buona destra”, 150 circoli, battesimo a novembre - guarda ai giochi che si vanno facendo nel centro destra e alle prove di nuove alleanze moderate come si assisterebbe allo spettacolo di un gigantesco teatro di cartapesta.

 

Gli accordi sul ddl Zan e per il cda della Rai sono le prove generali di un’alleanza tra Lega, Renzi, via Forza Italia?
«È legittimo che ci provino, del resto governano insieme: discutibile è che lo facciano per una poltrona, o sotto le insegne di una battaglia per i diritti che, per un verso, non è così centrale e, per l’altro, meriterebbe di non essere ridotta a bandierina. Francamente, non credo che Renzi sia più spendibile: ha fatto il segretario del Pd, voleva trasformarlo nella Cdu, difficile che ora la gente lo capisca. Quanto alla Lega: vuol cambiare linea? Rompesse le alleanze europee, subito, oggi: non puoi stare con Draghi a Roma e coi neonazisti tedeschi a Bruxelles; firmare un manifesto illiberale e anti-europeo ma stare nel governo più liberale ed europeo della storia d’Italia. Sarebbe ora di decidersi tra i due partiti, quello di Salvini e quello di Giorgetti: tutti sanno che sono incompatibili, ma fanno finta di niente. È pura finzione».

 

Ha scritto che il centrodestra non esiste da dieci anni. Finzione anche quella?
«Lo spartiacque è il governo Monti. Dopo, il centrodestra moderato è crollato e quello spazio non è stato più riempito. Per ragioni di cronaca: Berlusconi, che aveva in mano quel territorio, non è stato più trainante; per non parlare di Fini, che sin dagli anni Novanta, ad esempio con l’Elefantino di Segni, aveva cercato di portare l’Msi-An nelle destre europee. Oggi c’è un sistema arroccato, dominato dalla destra sovranista e populista, quella di chi è rimasto: Lega e Fdi che, anche se ha sede in via della Scrofa, non è certo erede di An. Parlano una volta di partito unico, un’altra di federazione: vanno sempre a sbattere. Sono contenitori che servono al massimo a garantire quote di potere al blocco politico esistente. Ma per il resto sono finzione scenica. Tant’è che non riescono a trovare i candidati per le città: un avvocato per Roma, Enrico Michetti, un magistrato per Napoli, Catello Maresca, un pediatra per Milano, Luca Bernardo».

È la famosa società civile, no?
«È la politica che si nasconde a se stessa».

Dice Giorgia Meloni che Michetti è un genio: siamo noi a non capire.
«Ma Michetti chi? Lui come candidato è in qualche modo l’altra faccia di Draghi premier. Draghi rappresenta la politica che fugge, nascondendosi dietro uno intoccabile. Michetti è la politica che fugge nascondendosi dietro uno che non è nessuno. Un atteggiamento incredibilmente remissivo, dietro la propaganda della faccia cattiva e della bava alla bocca. Se Meloni si fosse messa in gioco avrebbe vinto, sicuramente, a Roma: non corre perché ha paura di governare».

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Oppure perché punta a fare la premier?
«Meloni premier? Ma quando mai: finché dice “fuori dall’Europa” sarà tagliata fuori, e lo sa benissimo. Lei, Salvini e Fi, sembrano impegnati nel gioco dei luna park itineranti, quello coi cavallini di plastica che corrono verso il traguardo. Fdi, al momento, nei sondaggi - non alle urne - è il primo partito di un’alleanza inesistente, un agglomerato che si autodefinisce di centrodestra e che ha deciso: il primo che arriva alle elezioni, tra due anni, governa. È una costruzione fantastica. Guardiamo alla realtà: il Paese è governato da Draghi, con un’alleanza che va dalla Lega a Leu. Ci sono ministri, politici, che parlano fra loro. C’è dialogo. Poi però litigano sul green pass. Sarò pazzo ma vedo le cose: Salvini governa con Enrico Letta ma fa finta che non sia vero».

E perché?
«Non vuol prendersi la responsabilità. Anche il Salvini del Papeete, quello che fece crollare il Conte 1, in qualche modo era questo: paura del governo, di affrontare una realtà nella quale gli immigrati arrivano lo stesso, anche se nei tweet dici che non è vero».

Questo sul Paese che effetto ha?
«Le persone normali si allontanano da questo show di propaganda e poltrone. Da apparati che si autoperpetuano, come una burocrazia parastatale. E che non parlano di cose vere: possiamo davvero pensare che il green pass sia altro dalla gestione quotidiana di una emergenza? Possiamo trattarlo come una grande battaglia ideologica?».

Sono quelle che nella sua prima conferenza stampa Draghi ha chiamato «le bandiere!. Ognuno ha le sue.
«Il problema è proprio la politica come bandiera. Anni fa parlammo, per mesi, delle ronde, solo perché la Lega aveva deciso di agitare l’idea di un ordine pubblico gestito dai cittadini. Si fece una legge, sta là, ma chi se lo ricorda? Le ronde oggi non esistono, perché nessuno voleva farle davvero».

Oggi si combatte su Copasir e cda Rai.
«La presidenza del Copasir era giusto darla all’opposizione, mentre sulla Rai sfido chiunque a sostenere che un posto in cda possa cambiare il mondo, tanto meno nell’epoca della smart tv: è solo una poltrona, un posto di lavoro e qualche marchetta. La battaglia epocale su Giampaolo Rossi è fuffa. Mentre, al contrario, non vedo alcun dibattito su come investire gli oltre 200 miliardi del Pnrr, che sono la vera partita politica che si sta giocando. Su quello decide Draghi: significa che i partiti sono falliti».

Draghi dovrebbe fondare un partito?
«Non gli voglio così male, è un errore che abbiamo già visto fare a Mario Monti. Il nodo è che il sistema dei partiti deve costruire una offerta diversa, oggi è pessima. Se Salvini e Meloni possono toccare assieme il 40 per cento, la colpa è di chi non offre un’alternativa a una politica che soffia su un’idea di italietta lamentosa e recriminatoria, tiene le bocce ferme e considera di sinistra tutto ciò che non ha la bava alla bocca. Ad esempio, a Roma appoggio Carlo Calenda, e per me è chiaro che è il possibile aggregatore di una destra liberale: ma anche nella Lega, fuori dalla propaganda e dai microfoni, c’è chi si chiede: come mai noi a Roma non appoggiamo Calenda?».

Per lei destra è «l’uomo di Stato che rispetta le regole». Destra, oggi in Italia, è il capogruppo Fdi Francesco Lollobrigida che improvvisatosi medico sconsiglia il vaccino agli under 40. Minimizzare il Covid è una cosa di destra?
«La ricorsa alle pulsioni del popolo non è mai stata prettamente di destra: la politica dovrebbe essere fatta di gente che indica la strada, mentre è arresa. Sono diventati sindacalisti. Rappresentano interessi. Ognuno una fetta. I commercianti, i pensionati, quelli che vogliono per forza riaprire tutto, dipende. Si occupano del presente, non del futuro: è la logica del Quota cento, del reddito di cittadinanza, ma anche degli ottanta euro. E, per questa via, c’è gente che arriva a sancire il diritto individuale a non vaccinarsi: una scelta che comporta il concreto rischio di far male agli altri. Poi però, la stessa gente mette barricate sul diritto individuale all’eutanasia, che non nuoce a nessuno».

Equivoci che però attraversano le epoche: nel Popolo delle Libertà si gridò anche all’assassinio, per Eluana Englaro.
«Intendiamoci: il centrodestra è stato sempre un polpettone fatto di carne di maiale, di grasso, ossa triturate, cartilagini, dove a un certo punto senza preavviso potevi trovare, non so, un filo-nazista. E per me, Maurizio Gasparri che gridava “assassino” al padre di Eluana fu un punto di non ritorno. Insieme con il caso Cucchi: c’è chi fece la difesa per la difesa di individui che avevano sbagliato - come oggi Salvini sui pestaggi di Santa Maria Capua Vetere e su Voghera -, ma per me che sono di destra uno che serve la Patria e la tradisce è peggio di un delinquente. La verità è che ci vorrebbe un confine tra estremisti e non. Solo in Italia destra liberale ed estrema stanno insieme come fosse una camicia di forza».

Non da oggi, negli ultimi trent’anni: nel 1994, Silvio Berlusconi costruì l’alleanza con la Lega secessionista di Umberto Bossi e l’Msi ancora pre-svolta di Fiuggi.
«Nel 2006, c’era Forza Italia al 22 per cento, An al 12, l’Udc al 6, la Lega al 4 per cento. Erano altri pesi. Poi certo il problema nasce anche lì, da una coalizione costruita sotto il cappello di un partito azienda».

Cosa è rimasto del berlusconismo?
«Netflix ha ucciso Sky, figuriamoci che effetto ha fatto a Mediaset. Il berlusconismo è retroguardia, un dibattito vecchio. È niente, ormai. È il motivo per cui il 4 per cento della Lega si è quintuplicato. E i tanti che dicono cose da una destra liberale ed europeista, come Carfagna, Brugnaro, Toti, non capiscono che la battaglia si fa separandosi, non unendosi. Posso allearmi con la destra estrema, se è minoritaria. Ma se dà le carte, come ora, me ne vado dal tavolo. Perché la politica non sono solo numeri. Sono anche valori: e così si muore».

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