Il Minotauro e la Torre di Babele, l’apocalisse e la crocifissione, la mitologia greca e la fede cristiana. Mito e religione si intrecciano nella scrittura e nella pittura di Friedrich Dürrenmatt, nel suo autoritratto dal gusto espressionista sui toni del rosso e del nero, specchio della sua personalità poliedrica, e nelle altre opere realizzate nell’arco della vita. «Il dipinto e la scrittura non sono la stessa cosa ma si completano. Ci sono cose che posso solo disegnare, altre che posso solo scrivere. Ma dipingere e scrivere hanno la stessa origine, vale a dire il pensiero, la riflessione sul mondo», disse in un’intervista il grande scrittore svizzero-tedesco scomparso nel 1990, tenendo insieme le sue due grandi passioni. Noto per i suoi romanzi polizieschi intrisi di riflessioni critiche sulla società e digressioni sul concetto di giustizia, tra cui “Il giudice e il suo boia” e “Il sospetto”, nonché per le opere teatrali influenzate da Bertolt Brecht e Franz Kafka, Dürrenmatt ha declinato la propria sensibilità anche nelle arti visive.
Per celebrare il centenario della sua nascita, il Festival Treviso Giallo (dal 30 settembre al 3 ottobre) ha organizzato una mostra, a cura di Lisa Marra e Francesco Ferracin, con le illustrazioni, i disegni e i dipinti dell’autore, su concessione del Cdn, il Centre Dürrenmatt Neuchâtel, che custodisce ed espone l’intera produzione del grande scrittore. Per la prima volta in Italia saranno esposte al Museo Luigi Bailo 36 tavole selezionate dai curatori (copie degli originali), mentre nei giorni della manifestazione si terranno la lectio magistralis di Giorgio Manacorda “Friedrich Dürrenmatt teologo nichilista?” (il primo ottobre) e la conferenza “Letteratura, crimine e giustizia in Sciascia e Dürrenmatt” (il 2 ottobre), che si focalizza sui due grandi scrittori, accomunati dalla stessa ricorrenza.
«Dipingo per la medesima ragione per cui scrivo: perché penso», disse Dürrenmatt per spiegare l’origine della sua vena creativa nella pittura: nascono così anche le tavole del Minotauro, in cui l’autore si avventura nel campo del mito dopo aver realizzato il libro con i versi di una ballata. Nel testo il ruolo dei due personaggi principali, Teseo e il Minotauro, viene invertito, facendo del primo un assassino e del secondo un essere dolce e sensibile. Il mostro, metà uomo e metà animale, è visto nella sua totale incoscienza e bestialità. La commovente vicenda di un essere imprigionato in un labirinto, che si dibatte alla ricerca di una via d’uscita, in primo luogo da se stesso.
E nascono così anche le tavole dedicate alla fine del mondo, alla crocifissione e all’apocalisse. «Durante i decenni Dürrenmatt ha regolarmente analizzato il motivo della crocifissione. Sulla scia delle critiche di Kierkegaard intorno alla pietà convenzionale, cerca, nei suoi primi disegni, di rappresentare la crocifissione come un’indignazione, uno scandalo esistenziale. Più tardi affermerà che la scena della crocifissione costringe l’osservatore a vedersi come il soggetto crocifisso», afferma la co-curatrice della mostra, Lisa Marra: «Così facendo, pone al centro l’essere umano, che si trova ad attaccare crudelmente i suoi simili». Anche il motivo dell’apocalisse accompagna lo scrittore, figlio di un pastore protestante, per tutta la vita. La credenza cristiana relativa alla rivelazione di una verità trascendentale, alla fine dei tempi, viene posta però sullo sfondo. Dürrenmatt si preoccupa dell’arsenale autodistruttivo che l’uomo ha creato: la bomba atomica, la distruzione della popolazione su scala mondiale, l’avvelenamento dell’ambiente. Una visione lucida e attuale, convinta che gli esseri umani avrebbero le conoscenze necessarie per liberarsi da questi mali, ma manca loro la capacità di aggregarsi per metterle in opera.
Nella costruzione dei suoi romanzi, Dürrenmatt stravolge lo schema classico del giallo, con rarissime eccezioni in cui segue il paradigma tipico, alla Conan Doyle e Agatha Christie per intenderci, come ne “Il giudice e il suo boia”. Nel caso di Spӓt, l’avvocato alcolizzato e distrutto protagonista di alcuni suoi romanzi, arriva a mettere in piedi una vera e propria controfigura degli eroi hard-boiled, come evidenzierà Giorgio Manacorda nella lectio magistralis che terrà a Treviso. «Credo che Dürrenmatt abbia capito che Sam Spade e Philip Marlowe (e Bruce Willis) sono dei santi: accettano di essere picchiati, torturati in quanto martiri della giustizia. Si sacrificano perché credono. Potrei arrivare a dire che Spät è per Dürrenmatt una possibile incarnazione di Gesù Cristo, colui che si lascia torturare per salvare l’umanità». Si può essere d’accordo o meno con Manacorda, che arriva a sostenere, pur con il punto interrogativo, che Dürrenmatt possa essere definito un “teologo nichilista”, ma una cosa è certa : i temi religiosi affiorano di continuo nella produzione dello scrittore svizzero.
La Torre di Babele ad esempio, metafora della hybris, la tracotanza degli umani, e dell’evoluzione cosmica, è al centro di alcune tavole esposte a Treviso. «A Dürrenmatt la Torre di Babele non interessa solo come simbolo dell’arroganza umana e della punizione divina», prosegue la co-curatrice della mostra: «Lo scrittore e pittore collega anche la storia dell’Antico Testamento con le scoperte scientifiche sulle leggi del cosmo e i processi di evoluzione. Per la sua serie la Torre di Babele è chiaramente visibile la fonte di ispirazione essenziale da cui Dürrenmatt ha attinto: fotografie di telescopi e illustrazioni da libri di astronomia si riflettono nella rappresentazione di corpi celesti».
E così, per usare la definizione di Manacorda, Dürrenmatt si scopre sempre più vicino alla figura di un teologo nichilista in «continuo conflitto con Dio senza soluzione e senza salvezza». E così facendo si allontana dagli schemi prefissati del romanzo poliziesco e anche nei suoi dipinti dalla iconografia religiosa, stravolta dall’autore per raggiungere il proprio obiettivo. « La differenza con qualsiasi giallo è che i protagonisti di Dürrenmatt perdono sempre, anche quando sembra che vincano perché l’ossessione è Dio, la sua indimostrabile esistenza», conclude Manacorda: «Dürrenmatt non scrive dei romanzi, gialli o non gialli, scrive dei trattati di telologia nichilista, in cui l’unico vero criminale è Dio, un criminale che non esiste, quindi inafferrabile».