Germania, il tracollo della sinistra della Linke: schiacciata tra nostalgie comuniste e divisioni

La formazione ha quasi dimezzato i consensi rispetto al 2017, mancando la soglie di sbarramento ed entrando in Parlamento solo grazie ai collegi uninominali

Le elezioni tedesche non hanno incoronato alcun vincitore assoluto, nessun partito ha superato la soglia del 25 per cento, ma ce ne sono alcuni che hanno perso più degli altri. Uno dei grandi sconfitti è la Linke, la sinistra tedesca presieduta dal duo Susanne Hennig-Wellsow e Janine Wissler. Ha racimolato il 4,9 per cento di voti, un crollo rispetto al 9,2 raggiunto quattro anni fa. Riesce comunque a entrare nel Bundestag, il parlamento, non per aver superato la soglia di sbarramento (fissata al 5 per cento) ma per una particolarità tutta tedesca, quella di conquistare almeno tre collegi uninominali (in questo caso, due a Berlino e uno a Lipsia). È una vittoria di Pirro, che apre però le porte del Bundestag a 39 deputati.

 

I collegi conquistati non sono casuali. «Lipsia rappresenta l'eredità del vecchio partito comunista – spiega il germanista e filosofo della politica Angelo Bolaffi – mentre a Berlino è forte la presenza della sinistra». A livello nazionale però è una debacle. Di cui sono consapevoli i vertici del partito: «Abbiamo perso e ci saremmo aspettati un posizionamento migliore. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi analizzeremo il risultato, ma una cosa è certa, la Germania ha bisogno di noi», ha detto Wissler. Sullo stesso tono anche le parole di Hennig-Wellsow, che ammette la sconfitta e riconosce gli errori «commessi in passato».  

 

Fin dall'inizio la campagna elettorale non è progredita in modo omogeneo, tesa tra la modernizzazione abbozzata dal duo Wellsow – Wissler e l'anima più tradizionalista, rappresentata dalla politica Sahra Wagenknecht. Che in un libro, “Die Selbstgerechten” (I Presuntuosi), ha criticato la tendenza di certa sinistra – noi li definiremmo radical chic – a occuparsi di temi poco concreti e dunque lontani dai reali bisogni delle fasce più svantaggiate della popolazione. Una posizione mantenuta anche dopo la cocente sconfitta elettorale: «La Linke deve tornare alle origini», ha twittato. Eppure, secondo il politologo tedesco Roman Maruhn, proprio l'ancoraggio ai temi tradizionali relega la sinistra tedesca al ruolo dell'opposizione, senza renderla forza strategica con cui governare.

 

La Linke ha perso voti, tanti, confluiti in altri partiti. Secondo il quotidiano tedesco WAZ, a Est sono 110 mila quelli andati alla formazione di estrema destra AfD. Pur se agli antipodi, i due hanno infatti diversi punti in comune. «Entrambi sono contrari alla Nato, favorevoli a rapporti più amichevoli e distesi con la Russia di Putin e rappresentano forze capaci di intercettare gli elettori delusi», dice Maruhn.

 

L'emorragia di voti, 590 mila secondo il quotidiano tedesco WAZ, c’è stata anche verso l’Spd. È quasi un ritorno alle origini della contrapposizione storica tra le due anime, mai del tutto amalgamate, della Linke. Nata a Est come erede del vecchio partito comunista e frutto invece a Ovest della separazione traumatica tra i socialdemocratici dell'ex cancelliere Gerhard Schröder e l'ala rappresentata da Oskar Lafontaine, che poi dall’Spd uscì e la Linke la fondò.

 

Le percentuali piuttosto basse nei sondaggi e la polarizzazione dello scontro elettorale attorno alle figure del socialdemocratico Olaf Scholz e del cristianodemocratico Armin Laschet hanno poi schiacciato la formazione di sinistra, spingendo l'elettorato a pensare che un voto alla Linke sarebbe stato un voto perso. Di qui la preferenza per l'Spd, grazie anche all’insistenza rassicurante con cui Scholz ha parlato di temi sociali durante la campagna elettorale (tra tutti, salario minimo a 12 euro e stabilizzazione del sistema pensionistico).

 

Nei giorni scorsi si era ventilata l'ipotesi di una coalizione composta da Spd, Verdi e sinistra. Fumo negli occhi per il candidato di centro destra Laschet, idea mai concretizzata per gli altri due eventuali partner politici. Turbati, anche quando si credeva ancora ci fossero i numeri per tenerla in piedi, dall'ipotesi di uscita dalla Nato. Una posizione che ha fatto traballare gli equilibri, rendendo il partito di sinistra un partner incerto in politica estera e una potenziale minaccia alla stabilità della futura coalizione. Ora, il sogno è definitivamente sfumato. E alla Linke rimane un senso di incompiutezza che l’ha frenata durante la campagna elettorale, trascorsa senza neppure solleticare la curiosità dell'elettorato più giovane, attratto dai Verdi e dai liberali di Fdp. Per il momento, c’è stata la presa di coscienza del fallimento. Ma la Linke avrà bisogno di una sintesi delle istanze che la compongono per sopravvivere.

 

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