La notizia potrebbe essere che il rock non è morto, almeno non del tutto. Come quando molti anni fa mi capitò di suggerire il dubbio a sua maestà Vasco Rossi in persona e lui rispose senza neanche entrare in discussione: «Il rock sono io!». Frase che, come spesso accade con Vasco, nella sua disarmante semplicità nasconde una grande verità. Il rock esiste se c’è qualcuno che lo fa, e gli dà un senso, e allora viva il rock, visto che qualcuno, non molti in verità, lo suona ancora.
Lo spunto viene dal fatto che è appena uscito un disco solista di Manuel Agnelli che ovviamente del rock italiano è più che un protagonista, diciamo pure un emblema, una bandiera che ancora sventola con fierezza, e lo ha intitolato evangelicamente “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ma nei toni interni è molto più sferzante e duro di quanto il titolo lascerebbe supporre.
Intanto finalmente qualcuno registra in una canzone l’aria mefitica che ci ha avvolto, e lui lo fa scegliendo come scenario la sua Milano: «A un Dio non mio, lo chiedo anch’io, un sole in più, un bacio in più, un po’ di me che non sia una bugia, che puoi portarti via, beh, mi manchi e qui a Milano c’è la peste, è per questo che mi gira un po’ la testa, non ti ho mai lasciato andare veramente, non ti ho mai avuto che nella mia mente», dunque a Milano c’era la peste, e proprio intorno a Milano sembra di percepire questa ripresa di acide elettricità, vedi anche il ritorno dei bergamaschi Verdena, con uno splendido e toccante disco intitolato “Volevo magia”.
A chi lo dite, verrebbe voglia di rispondere, ma è significativo che un rinnovato senso di opportunità rock venga da chi ha militato nelle file più radicali e cosiddette alternative, perché poi non è che di rock non ci sia bisogno, è solo che sembrava aver perso tutta la sua divorante energia, gli spasmi, le impennate geniali, e ovviamente il fenomeno Måneskin da solo non giustificava una nuova ondata. Dunque dopo 37 anni di onorata carriera rock, e dopo alcuni anni di presenza televisiva come giudice che potevano scalfire la sua immacolata immagine, Manuel Agnelli ha deciso di prendersi la sua prima pausa solista, frutto della pandemia, come tante delle cose che stanno uscendo ora, e lo fa senza liquidare gli Afterhours che rimangono lì, in attesa di sviluppi, avendo seguito questa volta un filo personale che nei mesi di chiusura aveva cominciato a dipanarsi fino a diventare l’album di oggi.
Dentro ci sono rumori, tante chitarre, qualche languido pianoforte e gli archi, quando appaiono, sono sinistri il giusto, perché se il gioco si fa duro, bisogna essere duri, e questo è quello che fanno i rocker di razza. Il disco è sporco, esasperato, acido o struggente, senza inutili mezze vie, esattamente come i tempi che corrono, che non hanno mezze stagioni e se per questo neanche mezze beatitudini.