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febbraio, 2022

Il manager Sciascia ammette le tangenti Fininvest alla Finanza. Silvio Berlusconi si difende: «Non sapevo»

Mentre il Cavaliere è premier, i militari arrestati confessano quattro mazzette del gruppo televisivo. Il governo vara un decreto salva-corrotti. Poi Di Pietro si dimette e il leader di Forza Italia scarica la colpa sul fratello: la Cassazione assolve entrambi

Dopo aver svelato nel 1992 il sistema della corruzione sugli appalti e nel 1993 le tangenti e i fondi neri delle grandi aziende, nel 1994 i magistrati di Mani Pulite scoprono che anche le autorità pubbliche di controllo sono vendute. L'inchiesta Enimont coinvolge tra gli altri il vicepresidente del tribunale civile di Milano, Diego Curtò, che confessa di essersi fatto corrompere da un avvocato dell’Eni, e due ex presidenti della Consob. Il 26 aprile 1994, alle nove di sera, un vicebrigadiere della Guardia di Finanza, Pietro Di Giovanni, si presenta in Procura, sconvolto: il suo capopattuglia, Francesco Nanocchio, gli ha offerto una busta di denaro con due milioni e mezzo di lire: il doppio del suo stipendio. Invece di tacere, intascare, entrare nel giro e arricchirsi con altre mazzette, Di Giovanni denuncia il superiore. Da quella tangente rifiutata parte il nuovo troncone dell'inchiesta Mani Pulite, che riguarda la corruzione nelle verifiche fiscali: anche qui, da anni, funziona un sistema organizzato e gerarchico, che a Milano coinvolge decine di graduati, fino al comandante, il generale Giuseppe Cerciello.

 

Il 7 luglio, nel carcere di Peschiera del Garda, Nanocchio confessa diverse tangenti. E rivela che i soldi da lui offerti al collega onesto arrivavano da Telepiù, un’azienda televisiva controllata da Silvio Berlusconi. Che è il capo del governo in carica, dopo aver vinto le elezioni nel marzo 1994 con la Lega di Umberto Bossi e Alleanza nazionale di Gianfranco Fini. Nelle stesse ore altri ufficiali della Guardia di Finanza confessano di essersi divisi tre tangenti precedenti, pagate da altre società del gruppo Fininvest tra il 1989 e il 1991. L’inchiesta Mani Pulite, per la prima volta, coinvolge le aziende private del capo del governo in carica, che fino ad allora era rimasto estraneo a Tangentopoli.

 

La sera del 13 luglio 1994, durante la semifinale dei mondiali di calcio, il governo Berlusconi vara un decreto legge, intitolato al ministro della giustizia Alfredo Biondi, che vieta gli arresti per i reati di Tangentopoli e impone di scarcerare corruttori e corrotti. I pm milanesi, dopo aver obbedito alle nuove norme chiedendo ai giudici di rimettere in libertà tutti gli arrestati, leggono in televisione una nota di protesta e chiedono di abbandonare le indagini sulla corruzione. Il decreto Biondi scatena forti proteste in tutta Italia e viene ritirato dopo essere stato sconfessato anche dal ministro leghista Roberto Maroni.

 

Dieci giorni dopo, le confessioni dei finanzieri provocano l'arresto di Salvatore Sciascia, il capo della divisione fiscale della Fininvest. Nell'interrogatorio del 25 luglio 1994, Sciascia ammette che tre società del gruppo, Mondadori, Mediolanum e Videotime hanno versato centinaia di milioni di lire, tra il 1989 e l'inizio del 1992, a tre pattuglie di militari delle Fiamme Gialle durante le verifiche fiscali. Il manager dichiara che a dare l'autorizzazione di pagare e a fornire i fondi neri era Paolo Berlusconi, mentre il fratello Silvio non ne sapeva nulla. Delle quattro accuse, Sciascia smentisce solo la tangente per Telepiù, quella versata un mese dopo le elezioni del 1994.

Dopo l'estate il pm Gherardo Colombo scopre che un ex finanziere diventato avvocato della Fininvest, Massimo Maria Berruti, ha avuto un incontro riservato con Silvio Berlusconi, nel giugno 1994, a Palazzo Chigi. E subito dopo ha chiamato un suo ex collega corrotto, chiedendogli di tacere sulle tangenti della Fininvest e promettendogli «la riconoscenza del gruppo».

 

In ottobre il ministero della giustizia fa partire un’ispezione ufficiale sui magistrati di Milano (scagionati da tutte le accuse) e un accertamento individuale, tenuto invece segreto, su cento milioni di lire prestati a Di Pietro, tre anni prima dell'inizio di Mani Pulite, dal titolare di un'impresa di assicurazioni, poi finita in bancarotta. In Procura nessuno ne sa nulla. La sera del 21 novembre Berlusconi, mai indagato in precedenza, riceve il suo primo avviso di garanzia con l'invito a presentarsi in procura per l'interrogatorio. Il 6 dicembre, conclusa la requisitoria del processo Enimont, Di Pietro si dimette dalla magistratura, all'improvviso, senza spiegazioni. Il pool dei magistrati di Mani Pulite perde così il pm che per tre anni era stato il simbolo e il motore delle indagini, che lascia la procura proprio alla vigilia del cruciale interrogatorio del presidente del consiglio.

 

Berlusconi viene sentito il 13 dicembre dal procuratore Borrelli e dagli altri magistrati del pool. Nel passaggio cruciale Piercamillo Davigo gli contesta l'incontro con Berruti. Il leader di Forza Italia risponde attaccando i pm: «E per una cosa del genere avete indagato il capo del governo? Ma vi rendete conto del danno all’Italia?».

Condannato in primo grado, Berlusconi ottiene la prescrizione in appello e una trionfale assoluzione in Cassazione. La Suprema Corte condanna in via definitiva Sciascia e tutti gli altri accusati per quattro tangenti, compresa Telepiù, confermando anche il reato di favoreggiamento per Berruti. Solo Berlusconi viene assolto, per insufficienza di prove della sua responsabilità personale: nelle motivazioni si legge che poteva non sapere delle tangenti pagate dal suo gruppo. Sciascia e Berruti vengono poi candidati e diventano parlamentari di Forza Italia.

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