Il Cremlino di Mosca, il cuore della vita politica della Russia, è una cittadella circondata da una cinta muraria che conta venti torri. Tre di queste hanno una sezione rotonda, le altre quadrata. La più importante è la Spasskaya, la Torre del Salvatore, che dà sulla Piazza Rossa e davanti alla quale, in epoca zarista, si era obbligati a scendere da cavallo e fare la riverenza, prima entrare nella cerchia delle mura.
A questa rappresentazione plastica corrispondono rapporti di poteri ben precisi. Lo zar non c’è più da tempo, ma c’è il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. E le torri che circondano il Cremlino simboleggiano, in qualche modo, le correnti che lo influenzano o alle quali lui deve in qualche modo dare ascolto se vuole conservare il suo controllo autocratico sulla Russia. Qualcosa a metà fra un generale nel suo labirinto e uno zar che deve mettere d’accordo i suoi boiari. Scontri che fra le pareti dorate dei palazzi del potere vanno avanti da tempo e dove riuscire a mantenere un equilibrio per Putin è sempre più difficile, soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
Prima di descrivere il cerchio magico che ruota attorno al Presidente, occorre sottolineare che questo è mutato molto negli anni ed è cambiato ancora più in fretta dopo il conflitto del 2014. Partendo dal vertice, il primo cerchio di uomini che girano attorno a Putin è quello dei “siloviki”, termine usato a volte in modo generico e che va a indicare figure che hanno conquistato la fiducia del presidente negli ultimi tre anni e che condividono con lui un passato nei servizi segreti del Kgb, pur con qualche illustre eccezione. Fra questi, i più importanti sono sicuramente quattro. I primi due sono Nikolai Patrushev e Aleksandr Bortnikov, considerati, a buon diritto, i maggiori sostenitori della guerra contro l’Ucraina. Il primo è il Segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa dal 2008. Conosce Putin dagli Anni Settanta e ha lavorato con lui nel Kgb. Cospirazionista convinto, dal 2014 affianca il presidente, alimentando teorie del complotto per le quali l’obiettivo ultimo dell’Occidente sarebbe la distruzione della Russia. Bortnikov ha meno influenza diretta su Putin, ma è il capo dell’Fsb, l’erede del Kgb, e quindi è tenuto in considerazione dal capo del Cremlino in quanto garante dell’ordine interno. Anche lui lo conosce dagli Anni Settanta, avendo iniziato la sua carriera a San Pietroburgo. Oltre a loro due, ci sono altre due persone che meritano di essere menzionate. Il primo è Sergej Naryshkin, anche lui ex 007 e dagli Anni Novanta in contatto stretto con Putin, che lo ha umiliato in diretta televisiva, costringendolo a esprimere un parere favorevole nei confronti dell’intervento armato in Ucraina. Naryshkin presiede la Russian Historical Society, istituzione che presta il fianco alla reinterpretazione della storia, priva di fondamenti accademici, da parte del presidente. L’ultimo di questo primo gruppo, è il ministro della Difesa, Sergej Shoigu, che, a differenza degli altri non ha un passato da agente segreto o funzionario dell’intelligence, ma che è riuscito a costruire un rapporto personale con Putin, tanto che, almeno due volte all’anno, i due sono ritratti durante i loro weekend lunghi in Siberia, fra una battuta di caccia e una passeggiata nei boschi. A Shoigu, Putin deve due cose. La prima è di aver saputo riammodernare l’apparato bellico russo, rilanciando l’industria nazionale di difesa. In secondo luogo, il ministro, che pure non è un militare di formazione, è riuscito a instaurare un rapporto relativamente sereno con il Capo di Stato maggiore delle Forze Armate russe, Valerij Gerasimov. Proprio a questo personaggio, è giusto dedicare un approfondimento a parte. Il generale a quattro stelle è uno dei militari più esperti e dei tattici più lungimiranti che la Russia abbia avuto negli ultimi anni. Originario di Kazan, ha assistito da giovane ufficiale alla disfatta dall’Armata Rossa in Afghanistan. Da quel momento, ha preso parte al dibattito, in campo militare e non solo, per la strutturazione di una nuova strategia militare, chiamata impropriamente “Dottrina Gerasimov” e dove, prima di colpire il nemico con un attacco armato, occorre demolirlo con la tattica dell’approccio olistico al danno, fatto di attacchi hacker, troll, campagne di disinformazione e utilizzo di truppe irregolari. Uno schema che i russi hanno applicato con successo dal 2007 in poi e che Putin ha deciso di non rispettare nel caso dell’attuale guerra in Ucraina, dove infatti rischia di segnare un autogol clamoroso. A pagare per il presidente e il suo ministro-amico, potrebbe essere uno dei generali più competenti che la Russia abbia mai avuto.
Il secondo gruppo di uomini vicini a Putin è quello degli oligarchi. Un termine evocativo, che ricorda l’epoca eltsiniana. Gli oligarchi, però, non solo sono molto meno influenti di una volta e, rispetto ai “siloviki”, hanno molto spesso, anche per evidenti motivi di affari, una prospettiva più internazionale e gradirebbero un rilassamento dei rapporti con l’Occidente. I nomi più importanti sono quelli di Igor Sechin, amministratore delegato di Rosneft, il colosso petrolifero russo, e anche lui con un passato nei servizi segreti, Alexej Miller, numero uno di Gazprom. Questo per quanto riguarda le aziende statali. Ma il cerchio magico del presidente include Roman Abramovich, che ha fatto parte della delegazione inviata in Bielorussia, Alisher Usmanov e Oleg Deripaska. Uomini dalla ricchezza incalcolabile, colpiti dalle sanzioni internazionali e che iniziano a essere seriamente preoccupati per le mosse, meno pragmatiche e razionali rispetto a una volta del presidente.
Un terzo gruppo è rappresentato dai tecnocrati. Quelli ai quali, in estrema sintesi, tocca fare il lavoro sporco. Questi, principalmente sono il ministro degli Esteri, Sergeij Lavrov, che non ha appoggiato l’intervento armato e che secondo molti da tempo starebbe cercando di andare in pensione, il primo ministro Mikhail Mishustin e la Governatrice della Banca Centrale Elvira Nabiullina. A questi ultimi due toccherà il compito, particolarmente ingrato, di rimettere in sesto la Russia, stremata dalle sanzioni, dalla pandemia da Covid-19 e da una economia debole strutturalmente.
In ultimo, vanno citati tutta una serie di burocrati e manager di Stato che non hanno grande influenza sulle decisioni del presidente, ma che con il loro lavoro fanno andare avanti la macchina. Tutti relativamente giovani, intorno alla mezza età, e in rapporti diretti con il presidente, sono fra quelli che attendono un ricambio generazionale e che potrebbero approfittare di un eventuale rimpasto negli equilibri di potere un giorno che qualcuno deciderà di trovare un successore a Vladimir Putin.
Lo zar del terzo millennio lo sa perfettamente. Una delle sue qualità principali, fino a questo momento, è stata proprio trovare un bilanciamento fra le diverse torri del Cremlino. Una dote che, dopo oltre 20 anni al potere sta perdendo. La guerra in Ucraina potrebbe avere determinato, seppure sul lungo termine, un’accelerazione della transizione.