Non era un fuoco di paglia: il boom degli scrittori africani tra i premi letterari più prestigiosi del mondo non è ancora finito. L’ultima conferma arriva da Abu Dhabi, dove l’International Prize for Arabic Fiction, uno dei più autorevoli per la lingua araba, ha preferito l’esordiente libico Mohamed Alnaas a più affermati autori provenienti dalla penisola o dal Medio Oriente.
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Il romanzo prescelto, in uscita in inglese con il titolo "Bread on Uncle Milad’s Table", è la storia di un uomo che non ha nessun problema a condividere i lavori di casa con la moglie finché la pressione sociale non lo mette in crisi. Come ha notato la scrittrice libanese Iman Humaydan, una dei giudici, «il tema dell’identità di genere è una novità per la narrativa araba», anche se «la cosa più interessante del romanzo non è l’argomento ma il modo in cui viene affrontato».
La cavalcata multilingue degli autori africani era iniziata l’anno scorso, con una sequenza impressionante ricostruita da Francesca Sibani per Internazionale. Era andato a David Diop, franco-senegalese, l’International Booker Prize, grazie alla traduzione in inglese del suo “Fratelli d’anima” (uscito in Italia da Neri Pozza): un ritratto dei battaglioni di senegalesi inviati in Europa durante la prima guerra mondiale che non nascondeva eccessi e violenze ma li inseriva in un quadro di sfruttamento colonialista. Un romanzo davvero notevole, che aveva già vinto il prix Kourouma, dedicato alla narrativa africana dal Salone del libro di Ginevra, e lo Strega europeo.
A ottobre scorso è arrivata la sorpresa più grande: il Nobel ad Abdelrazak Gurnah, tanzaniano originario di Zanzibar e trasferito in Gran Bretagna, grande cantore (in inglese) dello spaesamento degli africani che arrivano in Europa. Poi è stata la volta di Paulina Chiziane, mozambicana, che ha vinto il Camões, il più importante premio di lingua portoghese.
Il 3 novembre scorso, nello stesso giorno, sono andati ad autori africani i due premi più importanti a livello editoriale: il Goncourt e il Booker. In Francia è stato premiato un senegalese giovanissimo, Mohamed Mbougar Sarr, primo autore di origine subsahariana scelto per il più famoso premio francofono. “La plus secrète mémoire des hommes” (che in Italia uscirà da e/o) è una vittoria della letteratura africana “al quadrato” dal momento che racconta la storia vera di uno scrittore del Mali: Yambo Ouologuem nel 1968 vinse un altro famoso premio francese, il Renaudot, con un romanzo epocale che si intitolava “Le devoir de violence”, ma poi è sparito dalla circolazione.
Il Booker è andato invece a un sudafricano, Damon Galgut, unico scrittore bianco di questa carrellata. “La promessa” (e/o) parte da un impegno irrealizzabile: quello preso da una donna bianca che si impegna a regalare la sua casa alla domestica nera, cosa che era impossibile ai tempi dell’apartheid.
È stato un anno d’oro per la scrittrice e regista zimbabweana Tsitsi Dangarembga, che dopo aver ottenuto il Premio per la pace degli editori tedeschi ha vinto anche il Windham-Campbell, riconoscimento americano che (con i suoi 165mila dollari) si propone di «offrire agli autori l’opportunità di concentrarsi sul loro lavoro senza preoccupazioni finanziarie». Con lei sono stati premiati altri due autori africani, la zimbabweana, Siphiwe Gloria Ndlovu e il nigeriano Emmanuel Iduma.
Non è africano l’autore ma solo l’argomento del libro che ha vinto un altro importante premio arabo, lo Sheikh Zayed Book Award: l’autrice, Maisoon Saqer, viene dagli Emirati ma il suo libro “Ain ala Massr” (“Uno sguardo sull’Egitto”) è un affresco del Café Riche del Cairo, cuore culturale della società egiziana per tutto il secolo scorso.
E in italia? Niente da segnalare, tra i premi letterari più importanti. Nessun nome legato all’Africa tra i candidati del 2022 al premio Strega (e sì che prima della scrematura i papabili erano 74!), nessuno al Campiello (la cinquina è stata annunciata pochi giorni fa).
Non si sa ancora cosa farà il Viareggio, che l’anno scorso ha assegnato a Igiaba Scego, una degli afrodiscendenti italiani più affermati da noi e più tradotti all’estero, il Premio Internazionale: non un riconoscimento per un singolo romanzo ma una sorta di premio alla carriera, «per il suo costante e meritorio impegno, espresso nella sua attività di scrittrice e giornalista, sempre a favore del dialogo fra culture e per i temi di grande spessore sociale e intellettuale che affronta nelle sue opere, come quelli della migrazione e della transculturalità».
Se i Premi italiani dormono, gli editori stanno dando sempre più spazio ai nostri scrittori afrodiscendenti: ne è un esempio il rilancio, da parte di 66thand2nd, della trilogia della scrittrice italo-somala Ubah Cristina Ali Farah (“Madre piccola”, “Il comandante del fiume”, “Le stagioni della luna”). Anche le istituzioni iniziano a impegnarsi per colmare la lacuna. Lo si è visto anche al focus dedicato agli scrittori con radici africane in occasione della Giornata per l’Africa organizzata dal Ministero degli Esteri, dove sono intervenuti Pap Khouma (“Ventimila viventi sotto il mar Mediterraneo”), Takoua Ben Mohamed (“Il mio migliore amico è fascista”) ed Espérance Hakuzwimana (“E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana”).
Negli stessi giorni, alla Moschea di Roma è stato presentato il Premio Letterario Italo-Arabo dell’associazione MedArt&Cultures: un’iniziativa che nasce per mettere in luce testi già pubblicati e per segnalare agli editori inediti (di narrativa, teatro, poesia e graphic novel) scritti da autori italiani con radici nei paesi arabi, compreso quindi il Nordafrica. Un premio appena nato che vanta buoni padrini (lo presiede Isabella Camera d’Afflitto, tra i più importanti arabisti al mondo) e uno scopo dichiaratamente ambizioso: cambiare la società attraverso la letteratura.