C’è vita all’estrema sinistra. Almeno in Francia. Benché i numeri in politica siano opinioni, è difficile minimizzare, come alcuni fanno, l’ottimo risultato di “Nupes”, acronimo che sta per Nouvelle unione populaire écologique et sociale, la coalizione che raggruppa socialisti, comunisti, ecologisti, radicali di sinistra, e ha come leader il tribuno Jean-Luc Mélenchon. E poco importa se, come dice il ministero dell’Interno, al primo turno delle Legislative di domenica scorsa, il gruppo sarebbe arrivato secondo di un’incollatura dietro “Ensemble”, la formazione che fa capo al presidente della Repubblica Emmanuel Macron (25,75 per cento a 25,66), o se invece, come sostiene “le Monde”, avrebbe vinto 26,11 a 25,88 perché non sono stati conteggiati alcuni candidati che a “Nupes” fanno riferimento.
Liquefatti i socialisti, residuali i comunisti e gli ecologisti, a Mélenchon è riuscita l’impresa di riunire sotto la stessa bandiera una parte politica adusa a frammentarsi, e dunque a suicidarsi, nei distinguo e nelle divisioni tra moderati ed estremisti, dialoganti e giacobini. E se è vero che i voti all’“Unione” sono grosso modo simili alla somma che i singoli partiti raccolsero nel 2017, va tuttavia sottolineato come stavolta siano ben 380 i candidati portati al secondo turno di ballottaggio contro i 150 di cinque anni fa. I sondaggisti prevedono che la performance si tradurrà nella conquista di un numero di seggi compreso tra 150 e 210, da poche decine che erano. Non abbastanza per permettere a Mélenchon di reclamare la carica di primo ministro, suo obiettivo dichiarato, ma sufficienti per pungolare l’azione di governo. Soprattutto se Emmanuel Macron non riuscirà a superare le 289 poltrone che garantiscono la maggioranza assoluta (la forchetta di “Ensemble” oscilla tra i numeri 255 e 295).
Si consolida, in Francia, una tendenza tripolare pericolosa per la governabilità, il bene supremo che dovrebbe garantire il sistema a doppio turno. Se a sinistra è Mélenchon il punto d’attrazione, se al centro il capo dello Stato è ovviamente il campione dei moderati, all’estrema destra è Marine Le Pen a crescere di un milione di voti (il confronto è sempre con cinque anni fa) e a sperare di poter formare un gruppo parlamentare come non avviene dal 1986. Inghiottiti da “Nupes” i socialisti che temevano di poter scomparire (e solo dieci anni fa esprimevano l’inquilino dell’Eliseo, Francois Hollande), sono in grave difficoltà anche gli eredi del gollismo che ebbero l’ultimo acuto nel 2007 con Sarkozy: i due partiti dominanti durante la Quinta Repubblica. A sottolineare un mutamento clamoroso dell’asse politico francese che non solo ora ha un forte centro prima pressoché inesistente ma che privilegia poi le ali estreme degli schieramenti.
Il rientro della sinistra nel grande gioco è tanto più prodigioso se si considera che all’inizio dell’anno elettorale con la doppietta presidenziali-legislative si pronosticava uno sbilanciamento netto dell’asse politico verso destra con il sorgere della stella di Eric Zemmour, il polemista già condannato per incitamento all’odio contro i musulmani (e ora velocemente naufragato), il consolidamento di Marine Le Pen, la tendenza sempre più accentuata a guardare verso la destra moderata dello stesso presidente Emmanuel Macron. È stata l’ottima performance di Mélenchon alle Presidenziali di aprile, quando fu terzo di un soffio, a redistribuire i pesi a sinistra e ad accreditarlo come federatore. Compito non facile per le resistenze soprattutto dell’ala moderata dei socialisti timorosi di aderire a un programma massimalista. E di apparentarsi con un personaggio dalla feconda ma ondivaga traiettoria politica.
Jean-Luc Mélenchon, 70 anni, è nato a Tangeri in Marocco in una famiglia di pieds-noirs, trotskista da ragazzo, poi socialista con Mitterrand, massone, ministro con Jospin, uscito dal partito socialista per divergenze con Ségolène Royal e da allora fondatore di un partito di sinistra sfociato in un movimento dal nome “La France Insoumise” (la Francia indomita), di orientamento socialista, democratico, alter-globalista ed ecologista, volano della recentissima Unione. Vorrebbe un salario minimo di 1.500 euro, il blocco dei prezzi per calmierare l’inflazione galoppante, il ritorno alla pensione a 60 anni (ora è a 62): ed è il motivo di maggior attrito con Macron che vorrebbe elevare l’età a 65, per la riforma che dovrebbe essere quella distintiva del secondo mandato all’Eliseo. Quanto alla politica estera, è insofferente rispetto ad alcune regole europee a cui vorrebbe disobbedire. Era vicino a Mosca, ma dopo la guerra scatenata da Vladimir Putin si è velocemente schierato con l’Ucraina.
La crisi economica e le sue proposte a favore dei ceti meno abbienti hanno gonfiato il consenso a suo favore. Vorrebbe, oltre che le pensioni anticipate, un orario di lavoro ridotto a fronte di una retribuzione più alta, l’assunzione di un milione di impiegati pubblici. Insomma una politica sociale all’opposto del suo presidente bollato come espressione delle élite e gran protettore dei ricchi. Le sue ricette costerebbero, è stato calcolato, 250 miliardi di euro, che sarebbero compensati da maggiori entrate in tasse per 267 miliardi di euro.
È evidente che, con un eventuale governo centrista, sarebbero scintille, per non parlare di una coabitazione al momento impronosticabile. Se Macron non dovesse avere la maggioranza assoluta potrebbe dunque volgere lo sguardo a destra per cercare di raccattare i seggi mancanti dai Républicains, i neogollisti, che a dispetto dei rovesci clamorosi diventerebbero decisivi per sostenere l’azione di governo. E tuttavia la nutrita compagine parlamentare dei melenchonisti sarà in grado di esercitare con qualche successo il suo lavoro di opposizione. Un quadro in ogni caso inedito nel recente passato perché i presidenti della Repubblica hanno sempre goduto di una larga maggioranza e hanno potuto legiferare con agio. Si gioca molto, nel giugno francese. Soprattutto la sinistra europea guarda con interesse un esperimento che ha qualche parentela con il precedente di Syriza in Grecia. Non per caso tra gli entusiasti di Nupes c’è Yanis Varoufakis. Ricordate? Fu ministro delle Finanze di Alexis Tsipras prima di andarsene quando il premier decise di accettare il piano della Troika per non far fallire lo Stato. Ad Atene nacque la democrazia, a Parigi si inventarono il dualismo destra-sinistra. Non è un caso che in questi due Paesi talvolta si elaborino formule fantasiose.