Il personaggio è magnifico, il programma un po’ meno. E non si capisce perché con il grande potenziale a disposizione si sia preferita una corsa sfrenata al riempitivo che finisce per schiacciare Gori nella sua solitudine

Drusilla Foer e quella sensazione di “troppo” nell’Almanacco del giorno dopo

«Troppe note, caro Mozart». Il giudizio con cui Giuseppe II liquidò “Il Ratto del serraglio” fu lapalissianamente ingeneroso, e fa sorridere ogni volta che si ricade su quella scena del magnifico “Amadeus” di Milos Forman. Ma non si può negare che l'imperatore fosse dotato del dono della sintesi e quella frasetta implacabile a volte possa tornare utile. Come nel caso dell'“Almanacco del giorno dopo”, format storico ritornato a nuova vita sulla seconda rete: cinque puntate alla settimana di trentacinque minuti sbrodolati, in cui si è cercato di far entrare letteralmente qualsiasi argomento.

 

Un po' come le temutissime interrogazioni a salti, il programma costringe Drusilla Foer a zompettare da una parte all'altra di uno studio tristemente vuoto, passando dalle ovvietà di un Topo Gigio ormai presenzialista quasi quanto i libri presentati da Bruno Vespa, al situazionismo della maestra di yoga del sorriso, dai compleanni alle canzoni, e poi l'intervista, la telefonata, il santo, il proverbio, gli anniversari, l'amante della natura, la ricetta, lo spazio comico, il repertorio e ancora, velocemente (e neanche troppo) di questo affannoso passo.

 

Il che, visto il potenziale di Drusilla, lascia un po' perplessi, perché è davvero difficile comprendere l'obbligo di questa corsa sfrenata al riempitivo quando la conduzione leggiadra della padrona di casa potrebbe scivolare via come le mani sulla seta. Invece accade proprio il contrario e il personaggio di Gori, pur mettendocela davvero tutta, si ritrova schiacciato dalla sua stessa solitudine, costretta a supportare scenette dimenticabili e gag talmente scritte da meritare un gobbo. Così, senza nascondere quel filo di noia, finisce un monologo di Guccini e corre verso il bancone per l'affastellamento delle rubriche, poi imbraccia il microfono e si gira e si volta, proprio lei, che potrebbe con garbo senese agire per sottrazione, essendo uno di quei rarissimi protagonisti della televisione contemporanea in grado di fare scena con una semplice alzata di spalle.

 

Forte di una rodata carriera teatrale, dotata di un'intonazione invidiabile e capace di usare l'ironia come la spada di Cyrano, Drusilla è in grado di snocciolare termini come «farabutta» rimanendo credibile e lascia dietro di sé una scia di gradevolezza tale che alla fine si guarda sempre con un certo piacere. Ma dispiace che l'occasione non l'abbia resa abbastanza ladra. Per rubare quel tempo a disposizione e farlo volare via anziché appesantirlo, come avrebbe detto l'insipido Giuseppe, di troppe note.

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