Cento scarichi attentano al canale della Venezia del Sud. Ora però gli abitanti di Scafati lo vivono come un nemico. «Ho proposto a mio marito di scappare da qui anche perché adesso abbiamo una seconda figlia e abbiamo paura» (foto di Caimi & Piccinni)

«Questo fiume lo abbiamo violentato per anni. Adesso è diventato il nostro peggior nemico». Sono le parole di Luigi Lombardi, un attivista del comitato cittadino Scafati in difesa del fiume Sarno. Mentre parla di come oramai gli scafatesi odino il loro fiume, tossisce ripetutamente. La cittadina campana infatti è invasa da un odore acre, un tanfo, che stringe come un nodo alla gola chi lo respira. Nonostante i quasi quaranta gradi, la maggior parte delle finestre dei palazzi sono serrate. L’odore è troppo forte e neanche la notte riesce a portare giovamento. Tutto questo per colpa del fiume. Il Sarno infatti è un corso d’acqua di appena 26 chilometri, tristemente famoso per essere tra i fiumi più inquinati del mondo. In una conferenza sui fiumi meno salubri del pianeta, tenutasi a New York nel 2018, è stato classificato al sesto posto in questa poco lusinghiera classifica. Per chi è così temerario da affacciarsi al di sopra dei suoi argini, si presenta con un colore marrone torbido, continuamente attraversato da filamenti gelatinosi e bolle di schiuma, che si formano e si distruggono con la forza quieta della sua corrente.

Ad oggi l’unico tratto ad essere balneabile è quello dei primi 200-300 metri, praticamente solo la zona limitrofa alle sorgenti. Subito dopo le acque vengono irrimediabilmente contaminate dai quasi cento scarichi civili e industriali.

Luigi, schiaritosi finalmente la voce, continua spiegando che un tempo il fiume e i suoi innumerevoli canali venivano vissuti come parte integrante del tessuto urbano, tanto da far conoscere la città di Scafati come la “piccola Venezia”. «Tutta la vita della città in qualche modo girava attorno al fiume. Adesso tutto questo è andato perduto». 

Il Sarno paga il pesante tributo di percorrere un territorio altamente antropizzato. Attraversa, in uno spazio relativamente breve, tre poli industriali, una campagna intensivamente coltivata e 39 comuni con una densità abitativa superiore alla media di Paesi sovrappopolati come il Bangladesh. Anche per questo la portata d’acqua del fiume non risente, neanche in questa torrida estate, del grave periodo di siccità che sta colpendo il nostro Paese.

Gli scarichi fognari e pluviali di decine di comuni gonfiano la portata del fiume, portandolo ogni anno ad esondare nei mesi primaverili ed autunnali con gravi disagi per i cittadini e trasportando nelle campagne circostanti il suo limo inquinato. Per l’ingegnere civile Michele Russo quello del Sarno è un problema strutturale: un’area così densamente edificata e quindi impermeabilizzata, non riesce a drenare a sufficienza l’acqua piovana che viene così convogliata forzatamente nell’alveo del fiume Sarno. 

Ma la densità abitativa e la cementificazione selvaggia non sarebbero comunque sufficienti a spiegare i livelli di inquinamento a cui è sottoposto il fiume da almeno quarant’anni. Quasi un milione di persone vive attorno al suo bacino e, secondo le stime dell’Ente idrico campano, circa 500mila non sono ancora collegate ad un sistema fognario. Le loro acque nere vengono direttamente scaricate nell’alveo del fiume, trasformandolo in una fogna a cielo aperto. In una relazione del senatore Roberto Manzione, per la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’inquinamento del Sarno, si stima che sono stati sprecati ottocento milioni di euro dei contribuenti, senza migliorare significativamente la situazione.

Gran parte dei lavori, come la costruzione dei depuratori, alla fine fu completata, ma nessuno ha mai collegato le reti fognarie ai siti di depurazione. Da qualche anno però si tenta di intervenire per finire quello che era stato in qualche modo iniziato. La Gori, un’azienda a partecipazione privata, gestisce, per l’ente idrico campano, sia la distribuzione dell’acqua potabile sia tutte le reti fognarie del bacino idrografico del Sarno.

La società promette di collegare ai depuratori tutti gli scarichi fognari entro dicembre 2025. Alla Gori, sono così sicuri che Andrea Palomba, responsabile Gestione idrico e fognario dell’azienda, promette che il giorno della scadenza della mission aziendale farà il bagno dentro al fiume. Una promessa a cui i cittadini guardano con scetticismo, abituati ad anni di cantieri mai conclusi, fondi spariti e cattiva gestione di quello che è stato già costruito. Anzi, con un’iniziativa senza precedenti e nata dalla mobilitazione civile, le associazioni “Libera dalle mafie”, “Anpi” e “Legambiente” hanno chiesto agli attuali ministri della Salute, dell’Ambiente e del Lavoro l’apertura di un tavolo nazionale e il commissariamento della gestione della depurazione del fiume. Richiesta respinta al mittente dal ministro dell’Ambiente Roberto Cingolani. Ma qualora fossero risolti i problemi con gli scarichi fognari, rimarrebbe sempre da affrontare il grave problema degli agenti inquinanti e dei prodotti di scarto delle zone industriali: i metalli pesanti e gli agenti chimici delle concerie della cittadina di Solofra o delle tante piccole industrie che sorgono lungo il fiume e gli scarti delle industrie conserviere del pomodoro San Marzano.

Alcune di queste ultime, nonostante siano attive solo per 3 mesi, da luglio a settembre, immettono nel fiume la quantità di materiale biologico (scarti e bucce di pomodoro) che un depuratore di norma gestisce in un anno, compromettendone l’efficienza. In quei mesi il Sarno si tinge letteralmente di rosso.

Una condizione del fiume talmente compromessa da spingere i cittadini a temere per la loro salute e quella dei loro cari. Ma ad oggi è difficilissimo collegare i malati e i morti all’inquinamento, perché manca da almeno dieci anni un registro tumori della provincia, nonostante già nel 1997 l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) segnalasse una maggiore incidenza di cancro e leucemia proprio nel bacino del Sarno.

Quella della mancanza di dati epidemiologici è la battaglia di Alfonso Annunziata, un avvocato. Recentemente ha presentato un esposto alle procure di Torre Annunziata e di Nocera Inferiore per indagare le connessioni causa effetto fra la comparsa di un linfoma in un suo cliente e le sostanze inquinanti presenti nel fiume. Finché non si porterà avanti uno studio serio sulle conseguenze dell’inquinamento del Sarno sarà complicato trovare giustizia. E non c’è un registro tumori nonostante sia obbligatorio per legge.

Mentre l’avvocato parla, dalla maglietta aperta si intravede una vistosa cicatrice all’altezza del collo. Anche lui qualche anno fa si era ammalato di un tumore benigno alla tiroide. Adesso, dopo un intervento chirurgico, sta bene. Secondo lui è diventato un dato esperienziale di tutta la città che le persone si stiano ammalando. E alcune ricerche esistono e i dati sono molto preoccupanti.

Secondo uno studio, “Environmental pollution effects on reproductive health – Clinical-epidemiological study in Southern Italy”, pubblicato su Pubmed, i casi di malformazioni fetali nelle città attorno al Sarno sono quattro volte superiori a quelle del “Triangolo della morte” di Acerra-Nola-Marigliano, la terra dei fuochi. I medici li attribuiscono alla presenza di metalli e agenti inquinanti. Un inquinamento certificato anche dalle analisi dell’Arpac Campania. L’agenzia, grazie ai suoi tecnici, monitora continuamente la situazione del fiume, intervenendo in collaborazione anche con i carabinieri. Secondo le tabelle i valori di cromo disciolti nel fiume nei pressi di Scafati superano mediamente di tre volte la soglia consentita. A destare più preoccupazione è la contaminazione da “Pfos”, una sostanza utilizzata in ambito industriale, che può causare tumori, ritardi della crescita, alterazioni del sistema endocrino e mortalità neonatale. Le rilevazioni di questo agente chimico, effettuate dall’Arpac nel 2018, sono arrivate ad avere valori di ottomila volte superiori ai limiti. Per l’oncologo e farmacologo Antonio Marfella siamo arrivati ad un punto critico di avvelenamento della popolazione.

Oramai non si ammalano di tumore solo gli adulti ma anche i bambini nascono con malformazioni e malattie, poiché le sostanze tossiche hanno irrimediabilmente danneggiato i gameti dei genitori. Marfella, che è anche Presidente dei Medici per l’Ambiente di Napoli, mostra uno studio del 2015 dal nome “Distribution of toxic elements and transfer” che certifica il ritrovamento di mercurio e cromo, non solo dentro le verdure e i terreni coltivati nella piana del fiume, ma anche nei capelli dei cittadini dell’agro nocerino-sarnese.

Da quasi quarant’anni le persone che vivono attorno al Sarno vengono avvelenate da un mix letale di sostanze cancerogene e dannose per la salute. Dal fiume passano ai prodotti coltivati, alla catena alimentare animale, fino ad arrivare all’uomo. Qualcuno però per forza di cose non si può abituare a questa condizione e sono Lina e Patrizia le madri di due bambini, rispettivamente Valentina ed Achille. Negli anni scorsi i loro figli si sono ammalati di tumore e le loro prognosi hanno dato purtroppo esiti infausti. Si ritrovano nella chiesa di San Francesco di Paola con le foto dei loro figli strette fra le mani. Raccontano con dovizia di particolari tutto il calvario che hanno dovuto vivere insieme a tutta la famiglia. Il momento della diagnosi, i viaggi per le cure nelle città del nord e le difficoltà economiche. Patrizia si commuove di rabbia quando ricorda il colloquio con l’oncologo: «Ci ha detto che non avevano i fondi necessari per studiare le cause. Ho proposto a mio marito di scappare da qui anche perché adesso abbiamo una seconda figlia e abbiamo paura che possa accadere di nuovo, ma il suo lavoro è a Scafati. In quale altro posto potremmo andare?».