Ho visto cose
Altro che Vannacci: cari adulti, guardate Sex Education
La quarta e ultima stagione della serie andrebbe prescritta come un farmaco. Per far capire a un Paese che vive nell'oscurantismo che è l’inclusione l’unica direzione possibile
Mentre dalle nostre parti un generale si interroga sul perché dobbiamo usare il termine straniero gay al posto di pederasta o finocchio, Netflix regala l’ultima stagione di “Sex Education”. Un tempismo adorabile, non c’è che dire.
Teen drama che andrebbe prescritto in dosi generose anche agli adulti, la serie britannica racconta attraverso i suoi giovani (e strepitosi) protagonisti come non esista, nell’ovvio ambito del consenso, nulla, ma proprio nulla di sbagliato nella sessualità altrui. Praticamente un catalogo creativo, ma più reale del re, di cosa sia davvero il mondo là fuori, oltre gli oscurantismi diffusi che si ostinano invece a raccontarlo con la mano sugli occhi, come i bambini, non lo vedo quindi non esiste.
Così, per seguire con amore le creature della novella Flaubert Laurie Nunn, sbarcate alla liberissima Cavendish Sixth Form College ci troviamo di fronte a otto episodi in cui in ordine sparso compaiono una sessuologa single in depressione post partum per aver partorito una bimba il cui padre è stato identificato col test del dna e che lavora con una producer lesbica che si masturba in cucina. Un ragazzo orgogliosamente gay (Ncuti Gatwa da abbracciare) che rifiuta di battezzarsi in una chiesa che non accoglie la diversità. Una coppia di persone trans che sono le star della scuola in cui si pratica la gentilezza. Una giovane asessuale. Una ragazza sorda. Un ragazzo in carrozzina che dipinge con la bocca.
E poi una giovane molestata che esorcizza la violenza subita con l'arte della fotografia. Una persona non binaria che assume testosterone e ha orgasmi a ripetizione. Una giovane donna che regala all’amica un sex toy con cui fare sesso a distanza con il suo ragazzo. Un ragazzo che chiede alle sue madri chi sia il donatore di sperma. E via dicendo. Insomma, un manuale allegro e colorato dell’inclusione, un’esposizione metodica della cosiddetta diversità, che quando la srotoli tutta insieme diventa, con la naturalezza che merita, semplicemente un insieme di punti di vista.
E se “Sex Education” è la serie più vista nel Paese in cui si dibatte del gender neanche fosse il sarchiapone di Walter Chiari, si vaneggia di «omosessualità sovrarappresentata», si può partecipare a miss Italia (che resiste, incredibile ma vero) solo se «donne dalla nascita» e si chiede alla Rai di impegnarsi a dare «una rappresentazione positiva dei legami familiari secondo il modello di famiglia naturale fondata sul matrimonio», ecco forse qualche domanda bisognerebbe porsela. Ben sapendo che tanto la risposta è dietro l’angolo, quello comunemente chiamato buonsenso.
************
DA GUARDARE
Detto che generalmente quanto trasmesso prodotto e offerto da Sky Arte dovrebbe essere protetto come i panda, è tornato “Le fotografe” docu-serie in cui sei artiste provano a raccontare attraverso i loro progetti specifici spicchi di mondo. E tu guarda un po’, il loro punto di vista diventa comune e condivisibile.
MA ANCHE NO
Si dice che le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui figli. Ma incurante del vecchio adagio “Il Collegio” (Rai Due) ha aperto le sue inutili porte a Carmelina, secondogenita di Carmen Di Pietro. Che così si ritrova a ben 14 anni predestinata a una vita da reality. Poi dice che il problema sono le famiglie arcobaleno.