Ha scritto “Se mi lasci ti cancello”. È il regista di tante piccole gemme imperfette e di culto. Mentre esce il suo nuovo film, la Festa del Cinema di Roma lo celebra con due documentari

Nel 1993, un secolo fa, una cantante appena uscita dalla sua band si chiude in casa con 150 videocassette e un obiettivo: scovare il regista più geniale e imprevedibile su piazza per il suo primo videoclip da solista. La cantante si chiama Björk. Il prescelto sarà Michel Gondry, futuro autore di “Se mi lasci ti cancello”, con Jim Carrey e Kate Winslet, Oscar 2004 per la sceneggiatura, ancor oggi il suo film più famoso. Ma anche di tante altre piccole gemme imperfette ma venerate da ostinate minoranze come “L’arte del sogno” o il road movie adolescenziale “Microbo e Gasolina”, rocambolesco tour de France compiuto da due 14enni ingegnosi che, stufi di farsi strapazzare dai coetanei, si fabbricano una minicar incrociando una falciatrice con un capanno degli attrezzi e partono alla scoperta del loro paese e di se stessi. Forse il film più personale di questo eterno ragazzo nato a Versailles nel 1963 che tra Francia e Stati Uniti, cinema e videoclip, ha vissuto molte vite in una e oggi torna sugli schermi con lo sghembo, malinconico, scopertamente autobiografico “Il libro delle soluzioni”, in sala dal 1 novembre. Preceduto dalla masterclass che lo stesso regista terrà alla Festa del Cinema di Roma il 29 ottobre, pochi giorni dopo l’anteprima mondiale del secondo documentario su di lui realizzato quest’anno, “A letto con Michel Gondry”, controcampo di un altro bel cineritratto visto a Venezia, “Michel Gondry: Do It Yourself”, diretto anche questo da François Nemeta, a lungo suo aiuto regista.

 

Visibili entrambi a breve su iwonderfull.it e Prime Video Channel, i due docu di Nemeta costituiscono un’occasione unica per approfondire la conoscenza di un talento tanto dirompente quanto inclassificabile, dunque precocemente messo da parte. O peggio banalizzato nel cliché dell’artista capriccioso. Se il primo è un viaggio diurno nella vita e nell’opera del regista francese ricco di inediti e testimonianze rivelatrici (memorabile l’incontro con l’amico-rivale Spike Jonze che gli “soffiò” Björk), il secondo promette un altro tipo di emozioni. Si tratta infatti, spiega Nemeta, di «un ritratto intimo narrato da Gondry in persona nel corso di una delle sue notti d’insonnia. Una “notte bianca” che interroga i suoi sogni, i suoi incubi, le sue influenze». Portandoci nella parte in ombra del suo stravagante percorso creativo. Un percorso tanto personale quanto politico, anche se questa dimensione non si impone al primo sguardo. Proprio perché in Gondry il gesto politico è intimamente fuso a quello artistico.

 

Il regista francese Michel Gondry

 

Eppure questo erede di Georges Méliès, cresciuto in una famiglia di musicisti e precocissimo bricoleur, capace di inventare l’effetto “bullet time” rubatogli dalle Wachowski in “Matrix”, ma anche di passare settimane a fabbricare con le sue mani piccoli film d’animazione che avranno come unica spettatrice sua figlia, ha le idee chiare al riguardo. Come spiega, con tono lieve e sincerità autolesionistica nel “Libro delle soluzioni”.

 

Uno: il talento è ovunque, soprattutto nei luoghi più inaspettati. Due: bisogna fare tutto da sé, il mestiere si impara sul campo, l’essenziale è divertirsi. Tre: la libertà è proporzionale al costo delle creazioni. Se fai tutto da solo, magari fondendo animazione e cinema dal vero, integrando foglie e rami veri a fondali disegnati a mano come nel videoclip di Björk, nessuno ti potrà influenzare. Non a caso tra un film e l’altro Gondry ha anche dato vita a un progetto folle e rivoluzionario, “L’usine des films amateurs”, che dopo un rodaggio in Francia ha fatto un piccolo giro del mondo tra Giappone, Marocco, Brasile, Russia, Argentina e Sudafrica.

 

Un atelier gratuito, con set già pronti e protocolli ben congegnati, in cui chiunque veniva messo in grado di scrivere, girare e proiettare un corto in 24 ore. Per puro divertimento, senza pubblicare il risultato per non esporsi a derive commerciali o pubblicitarie, e tantomeno mettere i lavori in rete, a evitare il flagello dei commenti. Un po’ come ne “Gli acchiappafilm” (orrida traduzione italiana di “Be Kind, Rewind”), dove alcuni commessi di uno scalcinato videonoleggio del New Jersey “rigiravano” nel cortile blockbuster hollywoodiani per affittarli a clienti più matti di loro (il finale, rivela il docu di Nemeta, nasce proprio dalla proiezione del film organizzata per i veri abitanti del sobborgo di Passaic, entusiasti dell’avventura). Uno così, che voleva a tutti i costi fare film popolari e nella Francia del “cinéma d’auteur” si sentiva a disagio, doveva finire a Hollywood. Ma solo per fuggirne dopo aver violato tutte le regole del successo. Chiunque altro, dopo aver vinto l’Oscar grazie all’incontro con un altro grande irregolare, Charlie Kaufman, lo sceneggiatore di “Se mi lasci ti cancello”, avrebbe rilanciato con film sempre più costosi. Gondry no. Fatta eccezione per “Green Hornet”, supereroe comico basato su una vecchia serie tv con Bruce Lee, troppo bislacco e sofisticato per conquistare i botteghini, anche Hollywood non fa per lui. I supereroi del resto non gli piacciono: «Da bambino divoravo qualsiasi fumetto ma ho sempre detestato Batman e tutti quei tipi in calzamaglia. Un forzuto che salva la comunità perché i cittadini non sanno gestirsi da soli mi sembra l’incarnazione stessa del fascismo». Evviva. La seconda fase dell’altalenante carriera di questo artista del fantastico è tutta da scrivere. Ma a vederlo sbarcare nella scuola che gli hanno dedicato in patria a bordo della DeLorean di “Ritorno al futuro”, la verità salta agli occhi. Gondry non appartiene a Hollywood né alla Francia, ma a un regno più vasto e sempre più minacciato, sepolto nel fondo di ognuno di noi. L’infanzia.

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