Gian Maria Tosatti, classe 1980, è l’artista più esposto degli ultimi due anni. E quando dico esposto non intendo presentato in mostre o musei, ma scoperto, sul campo di battaglia. La sua “retrospettiva” al Pirelli Hangar Bicocca di Milano arriva in concomitanza con la Quadriennale di Roma e subito dopo il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia. Per quanto riguarda la prima, da direttore sta cercando di mettere insieme un tessuto capillare e produttivo titanico, per compattare l’arte italiana dell’ultimo periodo. Sul Padiglione Italia va detto che nel 2022 per la prima volta è stato interamente dedicato a un solo artista (lui): “Storia della notte e destino delle comete”.
Tosatti ha passato mesi a recuperare macchinari dismessi nelle fabbriche italiane creando una scenografia di un’opera lirica che è la cifra di un fallimento morale, civile e politico del Paese. Alla fine del percorso si arrivava al mare, una banchina portuale larga due o tre metri. C’era davvero l’acqua tutto intorno ed essere in tensione fisica aiutava: buio pesto e neanche una protezione, un passo falso e si cadeva in acqua.
Ed ecco in fondo, nel buio più buio, apparire una lucciola. Poi un’altra, un’altra e un’altra ancora, in un coro silenzioso e sacro. «Darei l’intera Montedison per vedere una lucciola», disse Pasolini. Ecco, con “Storia della notte e destino delle comete” Tosatti ha evocato un corso diverso del ‘900, ha pagato il riscatto e ha fatto tornare le lucciole, elemento che ritroviamo anche qui all’Hangar in uno dei due cicli di lavori presentati: enormi tele in grafite che sembrano ritrarre un paesaggio marino grigio, torvo, cupo. Violento. È l’attimo dopo l’esplosione finale, si vede solo una linea che separa i gradi blu che sono acqua e cielo e poi alcuni punti luminosi. Questa volta non sembrano lucciole, non appaiono speranzose, ma ci suggeriscono l’incontro con l’assoluto: sono Dio? Sono la lontana traccia di luce che non ha più bisogno di illuminare una specie ormai estinta? E colpisce vedere che Tosatti, che ci ha abituati a installazioni ambientali ben diverse, abbia invece scelto il segno primario dell’arte: il quadro, la pittura.
Ma d’altronde, a prescindere dal supporto, non è tutto pittura? Lo sono certamente i lavori del secondo ciclo in mostra, del quale fanno parte anche le strutture che li reggono e che ricordano quelle dei grandi manifesti pubblicitari nelle strade. Sono fatti di oro e ruggine. Incorruttibilità e corruzione – decidete voi in che ordine – ma anche il segno di un tempo in cui materiali che in chimica non si possono legare scendono nello stesso campo. Non è così? Non abbiamo ormai eliminato, attraverso l’iper-comunicazione moderna, ogni distinzione tra alto e basso? Tra sacro e profano?
La mostra si intitola NOw/here e anche questa è una presa di posizione di Tosatti: facciamo i conti con noi stessi e scegliamo se essere qui e ora o nel nulla. Decideremo per la chiamata alle armi o per la resa? È una retrospettiva, ma come avrete notato abbiamo aperto mettendo questa parola tra virgolette perché non lo è nel senso che di solito intendiamo, ovvero quello della traccia materiale. È una retrospettiva sentimentale, che scandisce un’indagine cronologica nel cuore e nella mente dell’artista.
In quei billboard, che hanno inventato la necessità del consumo, capiremo se anche l’arte è qui per seguire una domanda o per crearla.
L’esposizione è curata da Vicente Todolì e sarà visitabile fino al 30 luglio.