Due giorni prima di Natale, TikTok ha ammesso per la prima volta qualcosa di cui è stata sospettata per anni: ha spiato alcuni giornalisti americani che la usavano. Membri dello staff di questa famosa app hanno tracciato i movimenti dei giornalisti per conto della casa madre cinese, ByteDance. In Cina è normale spiare e perseguitare giornalisti non allineati alla dittatura, in Occidente no. Al tempo stesso, TikTok è una delle app e social network più usati al mondo, Italia e Stati Uniti inclusi. Il problema è tutto in questa contraddizione e gli Stati Uniti in questi giorni lo stanno prendendo alla radice, con manovre politiche che mettono TikTok davanti a un aut aut: o garantisce rispetto delle regole o vende l’azienda a una società americana.
L’Europa e in particolare l’Italia hanno scelto una via diversa, come dimostrano vari segnali che arrivano anche da questo Governo; che all’apparenza si presenta sovranista e deciso, ma nella pratica è pronto a compromessi e alla prudenza. In sostanza l’Italia vuole rassicurazioni da TikTok senza però mettere alle strette il potente alleato commerciale.
Bastone e carota, per mantenere intatti gli interessi economici. La stessa strategia che si sta rivelando nei confronti delle big tech americane, chiamate alla resa dei conti con le nostre regole sul rispetto della privacy.
Dopo molto tentennare l’Europa ha cominciato a firmare maxi sanzioni per chi viola le norme sulla privacy: esemplare quella di 390 milioni di euro a Meta, a gennaio 2023 (dal Garante della privacy irlandese, che è quello competente su molte big tech nell’Ue).
Guido Scorza, del collegio del Garante italiano, nota come questa sentenza sia uno spartiacque, «si entra in una nuova era per la pubblicità personalizzata», perché la colpa di Meta (Facebook, Instagram) è proprio quella di non chiedere un consenso molto eesplicito agli utenti per profilarli a scopo di marketing. Di qui la sanzione, contro cui Meta ha annunciato ricorso.
Le sanzioni sono il bastone, ma c’è anche la carota: «non si può immaginare un futuro in cui le big tech come Meta e Google profileranno di meno, dato che ne ha bisogno il loro business, che ci dà ora social e motori di ricerca gratis, ossia gran parte di internet», aggiunge.
Ergo stiamo entrando in una fase nuova per la rete e per i sottostanti rapporti tra super potenze (Usa, Cina, Europa). Nuovi paletti saranno posti a tutela dei diritti degli utenti, ma anche di prerogative economiche e di sicurezza nazionale dei diversi Paesi. I dati ora gestiti da big tech sono una leva importante, infatti, in tutti questi ambiti.
Il caso TikTok, per il modo radicale con cui lo stanno affrontando ora gli Usa, lo rivela con una chiarezza inaudita. Il Governo americano (quello federale e quello di molti Stati) - come emerso da diverse dichiarazioni e da proposte di legge - ha due timori, verso TikTok. Primo: che sia usato come cavallo di troia dalla casa madre cinese, ByteDance, per spiare cittadini eccellenti americani. Già venti Stati Usa ne hanno vietato l’uso a funzionari pubblici. ByteDance per la normativa cinese non potrebbe disobbedire a un ordine di accesso ai dati che arrivi da Pechino.
Secondo timore: che la Cina ordini di manipolare l’algoritmo di TikTok per favorire i contenuti favorevoli ai propri interessi e penalizzi quelli utili alla democrazia americana. Un sospetto che ciò avvenga è emerso durante le elezioni americane del 2020 (come ha riportato il Wall Street Journal).
TikTok ha proposto agli Usa, come garanzia contro queste pratiche, di istituire una maggiore separazione societaria da ByteDance e un monitoraggio indipendente dei propri meccanismi.
I toni sono meno ultimativi a casa nostra. A gennaio, dopo lo scandalo dei giornalisti spiati, il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha aperto un’indagine; il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti (Fdi) ha incontrato TikTok ottenendone rassicurazioni sul rispetto delle regole privacy. Anche la Commissione Ue si è limitata per ora a dichiarare la propria attenzione sul tema.
«Il tema della sovranità nazionale, che passa anche dal controllo sul digitale, è cruciale per la maggioranza», dice Fabio Raimondo, deputato che cura questi temi per Fratelli d’Italia. Ma in merito all’ipotesi di un possibile bando di TikTok, almeno sui cellulari di funzionari pubblici italiani (come hanno deciso negli Stati Uniti), dice che «bisogna prestare attenzione ma la censura non è mai una soluzione».
«Bisogna capire che in Italia ed Europa non possiamo permetterci di fare come gli americani: siamo una media potenza regionale che vive di mercato», spiega Roberto Baldoni, a capo dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, che ha come mandato sia la difesa del Paese dagli attacchi informatici, sia la tutela di una sovranità digitale italiana. «Dobbiamo trovare un equilibro tra libero mercato ed esigenze di sicurezza nazionale», aggiunge.
È un concetto che si applica anche agli alleati americani. L’Italia ha deciso che da quest’anno le pubbliche amministrazioni dovranno portare i propri dati (di cittadini e aziende) e servizi su sistemi cloud “certificati” (dalla stessa Agenzia). Con la garanzia che i dati e servizi più critici per il funzionamento dello Stato (come quelli sanitari) e per la sicurezza nazionale restino sotto il controllo dell’Italia. Invece di finire in datacenter di aziende private situati negli Usa, come è avvenuto finora in molti casi.
In modo analogo, l’Europa sta lavorando con gli Stati Uniti, ad alto livello diplomatico, per avere garanzie che i dati dei cittadini gestiti da aziende americane (come Google, Meta) abbiamo adeguate tutele sul pano della privacy; in particolare che non siano accessibili al Governo americano (come permesso dalle loro attuali norme). «Con gli Usa si va verso un accordo in tal senso; con la Cina no, ma bisogna lavorarci», dice Scorza.
Con TikTok (e la Cina) il problema resta insomma aperto e al momento in Italia sembra mancare la volontà di affrontarlo di petto, per interessi di relazioni commerciali. Interessi economici impongono un delicato equilibrio anche in merito alla pubblicità internet. Nel 2024 entrerà in vigore il Digital Services Act, normativa europea che impone nuovi paletti come il divieto di pubblicità personalizzata ai minori o basata su orientamento sessuale, etnico, religioso degli utenti. Si vuole evitare un eccessivo potere manipolatorio delle multinazionali americane sui nostri interessi politici, commerciali. «Si dà più controllo sui nostri dati, che sono pilastro di diritti e anche leva economica importante per l’Europa», dice Scorza; «la pubblicità e la privacy su internet cambierà, per le nuove norme e la nuova pressione sanzionatoria, ma ancora chiaro quali saranno i nuovi equilibri». Certo è che «non sarà messa in discussione la sostenibilità del business online».
L’Europa, Italia inclusa, proverà la difficile impresa di difendere i nostri diritti e i propri interessi economici, politici, senza scontentare preziosi alleati o danneggiare gli attuali servizi internet. La nuova internet europea sarà cerchiobottista e l’attuale governo italiano ha dimostrato di averlo capito già.