Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, e Antonio Di Martino, in arte Dimartino, sono due adorabili canaglie, un duo di simpatici satanassi che hanno stregato la canzone italiana. Con un leggerissimo “Splash”!
Ma cominciamo dal principio. Da una parte c’era Colapesce, con le sue canzoni, dall’altra Di Martino, anzi i Dimartino, un gruppo, con altrettante canzoni, due carriere di alto profilo, Targhe Tenco, collaborazioni di rango, insomma due storie di quelle che senza fare troppo rumore nobilitano la musica italiana, piacciono, si lasciano amare dalla parte più sensibile del pubblico. Poi avviene l’impensabile, si mettono insieme, formano un duo, e decidono di proporre al Sanremo 2021 una canzone all’apparenza del tutto innocua, e così continua a sembrare per un po’ finché, quando è troppo tardi, ci si rende conto che abbiamo lasciato libero il più potente e invasivo tormentone degli ultimi anni.
Dura mesi e mesi, arriva all’estate, la supera, scolpisce inesorabile il nostro immaginario: «Metti un po’ di musica leggera, perché ho voglia di niente, anzi leggerissima, parole senza mistero, allegre, ma non troppo, metti un po’ di musica leggera, nel silenzio assordante, per non cadere dentro al buco nero che sta a un passo da noi», capito che roba, con quel titolo capace di imbrogliare anche il più navigato dei consumatori, altro che leggerissima, loro avevano trovato l’inno del Covid e del post-Covid, l’antidoto da cantare per farci passare il mal di solitudine, il male dell’isolamento.
Non paghi, tornano al Festival quest’anno, con un titolo che sembra ancora più disimpegnato, un secco “Splash” che nessuno potrebbe prendere sul serio, ma questa volta sono tutti più attenti, guardinghi, non si sa mai, e loro infatti si ripetono, battiateschi e leggeri, parlano di mare e vacanze, champagne e baccarat, anzi vogliono risultare perfino snob: «Ma che mare, ma che mare, meglio soli su una nave», sebbene la cantino in febbraio sono già estivi, guardano lontano, con perfida lungimiranza, ma la parte diabolica è un’altra, è quella che tradisce perché non la si nota subito.
In un periodo in cui le canzoni fanno davvero fatica a farsi notare, e soprattutto a parlare a tutti, loro che sono nuovi, ma anche un poco antichi, loro che cavalcano la nuova scena ma non hanno ansie generazionali, non hanno da rivendicare un lessico di appartenenza adolescenziale, buttano lì una frase destinata a perseguitarci a lungo: «Ma io lavoro, per non stare con te». Gettata lì come per caso, la più forte dichiarazione di non amore della storia.
UP
Nel ricordare la sublime arte di Burt Bacharach, col quale ha lavorato a lungo dopo averlo incontrato nel 1998 (“Painted from Memory”), Elvis Costello lo ha definito un estremista dell’amore e dell’invenzione, sintesi geniale di un artista che l’eleganza in musica l’ha perseguita a ogni costo.
& DOWN
Non si è obbligati a fare, per forza. In attesa di un vero e proprio nuovo album, l’idea degli U2 di rifare 40 canzoni del repertorio storico alla luce di quello che loro sono oggi (“Songs of surrender”, in uscita) è sembrata scivolosa, un confronto col passato molto difficile da vincere.