A Firenze i “biblioprecari” protestano: una vertenza contro il bando senza tutele che riassegna i servizi museali della città

C’è un sentimento che chiamo “dolore indie”, riprende tutto un modo di provare emozioni, spesso nostalgiche e dolorose, intorno a un mondo, e dunque un’estetica, ormai sbiaditi. Quel mondo che alcuni riconoscono nel ricordo specifico di una libreria di quartiere o di un modo di fare le cose. In questo senso, è bello essere giovani perché si può dire «questo nuovo mondo fa schifo» senza passare per forza per dei boomer nostalgici (magari solo per dei boomer nostalgici in divenire). Si è invece forse solo stati così fortunati da vedere la fine di un’epoca e l’impennata prima dello schianto, anche se non si aveva certo alcun potere di arrestarlo.

 

Dolore indie è anche quel dolore dolciastro nei confronti di luoghi specifici, come le biblioteche e gli archivi. I luoghi tanto cari all’universo indie ovvero semplicemente posti dove stare a leggere e approfondire gratuitamente. Il dolore indie è quindi il sentimento di perdita verso la fruizione, gratuita o comunque accessibile, della cultura.

 

In Italia, la metà di chi tutela e cura questi luoghi, guadagna meno di 10 mila euro all’anno (“Mi riconosci”, 2022). Da Firenze, la blasonatissima culla del Rinascimento, si sta lanciando un allarme. Da novembre 2015, l’associazione “Mi riconosci” chiede che le amministrazioni locali e il ministero abbiano la decenza di ascoltare i precari della cultura perché «il sistema non regge più». Il 17 giugno c’è stato un presidio davanti agli Uffizi: la protesta dei lavoratori di Opera è contro il bando da 121 milioni di euro che dopo oltre vent’anni di proroghe deve riassegnare i servizi museali delle Gallerie (Corridoio Vasariano, Giardini Boboli e tutto Palazzo Pitti), della Direzione Regionale Musei della Toscana (tra cui: Archeologico, San Marco, Villa Medicea) e dell’Opificio delle Pietre Dure.

 

Nonostante la lunghissima attesa, il bando è privo di garanzie per i lavoratori in termini di paga e numero di operatori riassorbiti. Il 16 giugno, i “Biblioprecari”, lavoratori esternalizzati delle biblioteche e degli archivi civici di Firenze, hanno protestato contro un processo di internalizzazione che se privo di tutele, rischia di esodare il personale attualmente in appalto. Il processo, già in corso, ha già visto l’uscita di un concorso per funzionari che non riconosceva l’esperienza dei precari e nell’assunzione di personale amministrativo privo di formazione biblioteconomia che in alcuni casi è stato fatto firmare proprio da chi rischia il posto di lavoro. A seguito di mobilitazioni, scioperi, assemblee sindacali e raccolte firme, sono riusciti a ottenere, il 4 agosto, un incontro con gli assessori al Personale e alla Cultura, Bettini e Giuliani, e con la compagine tecnica del Comune di Firenze. Sicuramente un’apertura formale ma che manca ancora di sostanza.

 

In quell’occasione, l’amministrazione si è impegnata a valutare tutte le opzioni possibili per un processo di re-internalizzazione che tuteli quanti lavorano. Nell’ascoltare i lavoratori e le lavoratici in lotta, chi negli archivi, chi nelle biblioteche di Firenze, si ricrea l’atmosfera confusa e soffocante degli uffici kafkiani ne “Il Processo”. A., della rete “Biblioprecari”, parla di figure che hanno il potere di fare il buono e il cattivo tempo: burocrati, tecnici e politici. In balia di questo distruttivo battito d’ali, archivisti e bibliotecari battagliano, dal 2020, contro un vuoto politico. Nel vuoto si sentono i cori e le grida? Pare proprio di no.