Basta pensare al nostro quotidiano per capire come quella in cui viviamo sia l’era dei dati. Interazioni sui social network, un click su una pubblicità online, smartphone connessi alle nostre auto: tutto ciò genera enormi volumi di dati, eterogenei per fonte e formato, analizzabili in tempo reale. In due parole, i Big Data. Secondo la business platform tedesca Statista, la quantità totale di dati che si prevede di creare, acquisire, copiare e consumare a livello globale arriverà entro il 2025 a 181 zettabyte. Detto in altro modo, 181 mila miliardi di gigabyte. Viviamo in una società dato-centrica, insomma. Ma quanto vale effettivamente il mercato dei Big Data?
Secondo le stime di Statista, il mercato globale dei Big Data Analytics dovrebbe arrivare a quota 100 miliardi di dollari entro il 2027. Un mercato dalle potenzialità enormi, in parte ancora inesplorato, e dove l’Italia ha saputo dire la sua in tempi non sospetti. Negli anni ’90, quando Facebook ancora non esisteva e le sponsorizzazioni viaggiavano sui media tradizionali, come potevano le aziende che pagavano per ottenere visibilità tenere sotto controllo la loro presenza sui diversi canali? Per dare risposta a questa esigenza nel 1993 Gianni Prandi fondò Vidierre, un’azienda di Assist Group che ancora oggi è leader nella media intelligence.
Prandi è stato un pioniere del settore: aveva intuito già 30 anni fa il valore economico intrinseco dei dati e l’importanza di ricavarne informazioni. Così iniziò l’attività di monitoraggio media e, via via, Vidierre è diventata un’eccellenza nel panorama dei Big Data: a testimoniarlo il fatto che a questa società è affidato, in particolare, il monitoraggio delle soglie di pubblicità in televisione e in radio dall’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, oltre a quello della pubblicità occulta sui canali Rai. Questo perché Vidierre negli anni ha saputo evolversi per restare sempre un passo avanti: grazie a sistemi come WOSM© ha cambiato il mercato del media monitoring, introducendo uno strumento di media intelligence che è in grado di fornire scenari interpretativi ed evolutivi nell’ambito di interesse. Il tutto con la sicurezza di un sistema chiuso, che assicura la massima tutela della riservatezza di tutte le informazioni fornite.
La riservatezza è un valore aggiunto in un settore dove la monetizzazione del dato spesso viene prima di tutto. Le aziende che raccolgono e detengono i Big Data hanno tra le mani una fonte di ricchezza e di potere enorme, il nuovo «oro nero» digitale: una volta estratti e raffinati, i dati possono infatti essere distribuiti e capitalizzati. È quello che fanno con successo i colossi del Big Tech a stelle e strisce: da Google a Meta, da Amazon ad Apple.
In questo scenario, l’Europa deve sapersi ritagliare uno spazio bilanciando l’ampio utilizzo dei dati con la tutela di privacy, sicurezza ed etica: perciò sta mettendo in campo una legislazione che si fa di anno in anno più stringente. Ultimo tassello, nell’aprile 2023, l’approvazione del Data Act, che mira a tutelare i dati non personali. Si aggiungono il Digital Services Act e il Digital Markets Act, che puntano a proteggere i consumatori e i loro diritti online e a rendere i mercati digitali più equi, mettendo un freno ai vantaggi delle grandi multinazionali.