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Attualità
gennaio, 2024

Matteo Salvini se la prende con Ilaria Salis: «Assurdo che un individuo del genere faccia la maestra»

La preoccupazione per l'allargamento del conflitto in Medio Oriente, l'appello per armare l'Ucraina, la Cina che supera il Giappone sula produzione di auto, Antonio Di Pietro si schiera dalla parte degli agricoltori. Le notizie del giorno da conoscere

Matteo Salvini: «Assurdo che Salis faccia la maestra»
«È assurdo che questa Salis in Italia faccia la maestra. Non può fare quel lavoro»: lo ha detto Matteo Salvini a Repubblica parlando della vicenda di Ilaria Salis, detenuta in Ungheria. Del caso Salis che idea si è fatto? gli viene chiesto «Ora stiamo per dare la notizia che già nel 2017 questa signora aveva assaltato un gazebo della Lega a Monza. Vedete? Vi pare normale che una maestra elementare vada in giro per l'Europa, e adesso scopro anche in Italia, a picchiare e sputare alla gente?». «Allora, che nel 2024 si vada in tribunale con i ceppi non è accettabile - dice poi Salvini sul fatto che Salis è stata condotta in aula in catene -. Ma quella donna se è colpevole deve pagare. E se il reato l'ha commesso in Ungheria deve essere processata in Ungheria. La sinistra ci dice sempre che dobbiamo rispettare la magistratura, ecco, allora rispettino anche la magistratura ungherese».

Va processata a Budapest, non va riportata in Italia? «Senza dubbio lì - risponde Salvini -. Altro discorso se si sta scontando una sentenza ingiusta come quella di Chico Forti in Usa. In quel caso bisogna intervenire e chiedere. Ma non in questo caso». Bisogna chiedere per una cittadina italiana un trattamento equo, viene sollecitato ancora Salvini. «Ripeto: vi pare normale che una maestra elementare vada in giro a menare la gente? Io sono preoccupato che bambini di 6-7 anni stiano con un individuo del genere. Io non credo che possa lavorare come maestra». Ma sono cose diverse. «Se mio figlio facesse quello che fa lei, di certo non sarei contento. E come minimo mi farei sentire».

 

Roberto Salis: «Telefonata tra Meloni e Orban ottima notizia»
«Improvvisamente qualcuno si è accorto della mia voce nel deserto. Ma io sono un uomo d'azione, quanto successo finora sono chiacchiere, i fatti sono un'altra roba. Anche se la telefonata Meloni-Orban è un'ottima notizia». Lo dice in un'intervista a La Repubblica, Roberto Salis, papà di Ilaria che dopo 11 mesi è riuscito a vedere l'ambasciatore italiano a Budapest: «È la prima volta - spiega -. Evidentemente da febbraio scorso ha avuto impegni più gravosi che occuparsi di mia figlia». Insieme «abbiamo studiato un piano per provare a riportarla a casa che dovrà essere validato dai ministri della Giustizia e degli Esteri - aggiunge -. A quel punto gli avvocati in Ungheria potranno fare richiesta di domiciliari». Salis trova assurdo «che lo Stato italiano non riesca a dire a un altro Stato dell'Unione europea 'siamo in grado noi di garantire i controlli». Il padre di Ilaria Salis ha chiesto inoltre «che il piano tenga in massima considerazione la tutela della sicurezza di Ilaria e della sua famiglia. Lunedì nell'aula del processo c'erano quattro neonazisti. Ed è assodato che ci siano canali di comunicazione tra nazisti ungheresi, tedeschi e italiani. Un loro blog ha pubblicato il nome, la foto e l'indirizzo di mia figlia». Tajani finora non l'ha mai chiamato e per quanto riguarda le condizioni di detenzione della maestra, l'Ambasciata italiana ha partecipato «ad almeno quattro udienze in cui Ilaria è stata portata dal giudice in quelle condizioni. Noi, fino alla sua lettera, non sapevamo del trattamento che stava subendo». Sua figlia «è stata lasciata in carcere senza assorbenti, due agenti hanno cercato di interrogarla in inglese: torture, umiliazioni e pressioni per farle confessare qualcosa». La cosa più importante ora «è levarla da una situazione insostenibile - sottolinea - per poi fare il processo in condizioni umane"»

 

Medio Oriente. Onu: «Preoccupazione per l'allargamento del conflitto»
Il portavoce del segretario generale dell'Onu Stéphane Dujarric ha espresso preoccupazione per la possibilità di un allargamento del conflitto dopo gli attentati in Giordania che hanno causato la morte di tre soldati americani, ai quali, ha fatto sapere il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha deciso come rispondere. «Siamo molto preoccupati per gli scontri a fuoco, l'attività in aumento che abbiamo visto nella regione, in Giordania, in Siria, in Iraq e altrove. Tutto ciò aumenta i rischi di un'escalation del conflitto, che è l'ultimo cosa che vogliamo vedere», ha dichiarato Dujarric durante una conferenza stampa quando gli è stato chiesto della decisione di Biden. Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato che il suo governo ha già deciso come rispondere all'attacco perpetrato domenica contro le truppe americane in Giordania, che ha provocato tre morti e una quarantina di feriti, e di cui ha accusato l'Iran, pur raccomandando di non espandere il conflitto nella regione dopo l'aumento delle tensioni a seguito della guerra tra Israele e Hamas. L'Iran, dal canto suo, ha preso le distanze dall'attacco.

 

Leader Paesi Ue: «Raddoppiare sforzi per armare Kiev»
In una lettera congiunta, pubblicata dal Financial Times, alcuni leader europei hanno chiesto di raddoppiare gli sforzi per armare l'Ucraina. «Si profilano problemi cruciali: l'Ucraina non dispone di sufficienti munizioni di artiglieria. E gli impegni per il sostegno militare rischiano di non soddisfare le esigenze» del Paese, hanno affermato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il primo ministro danese Mette Frederiksen, il primo ministro ceco Petr Fiala, il primo ministro estone Kaja Kallas e il loro omologo olandese, Mark Rutte, precisando che «non vi è alcuna indicazione che la guerra finirà presto». I leader europei hanno anche definito la loro incapacità di fornire all'Ucraina 1 milione di proiettili di artiglieria entro la fine di marzo 2024, «la dura verità», e hanno ribadito che «se i soldati ucraini vogliono continuare a combattere, il bisogno di munizioni rimane schiacciante. Dobbiamo rinnovare la nostra determinazione e raddoppiare i nostri sforzi per garantire il nostro sostegno per tutto il tempo necessario. Ciò che è urgente oggi è fornire munizioni e sistemi d'arma, compresi obici, carri armati, UAV e difesa aerea, di cui l'Ucraina ha urgentemente bisogno sul campo», hanno affermato nella lettera congiunta. Scholz, Fiala, Frederiksen, Kallas e Rutte hanno precisato inoltre che le armi ordinate oggi non raggiungeranno il campo di battaglia in Ucraina prima dell'inizio del prossimo anno. «Dobbiamo quindi insistere sulla ricerca di modi per accelerare la consegna dei colpi di artiglieria promessi all'Ucraina. Ciò può avvenire attraverso la donazione delle scorte esistenti o l'approvvigionamento congiunto di munizioni attraverso le nostre industrie della difesa. Questo richiede l'espansione delle capacità industriali in Europa attraverso contratti quadro di appalto e investimenti sostenibili da parte degli Stati membri. Anche i paesi partner potrebbero svolgere un ruolo importante e sono invitati a unirsi al nostro sforzo collettivo», hanno aggiunto, ricordando che i loro paesi hanno partecipato attivamente alle donazioni all'Ucraina e hanno promesso di continuare i loro sforzi. «La nostra capacità di continuare a sostenere la difesa dell'Ucraina, sia durante l'inverno che a lungo termine, è decisiva. In effetti, è una questione che riguarda la nostra comune sicurezza europea», hanno affermato.

 

Schlein-Conte, alla Camera prove di disgelo
Il leader dell'Ulivo Romano Prodi non può immaginare un quadretto migliore quando lancia l'appello all'unità a Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. La segretaria dem Elly Schlein, il presidente del Movimento Giuseppe Conte e il leader di Art.1 Roberto Speranza posano in foto nella Sala della Regina a palazzo Montecitorio. Abbracci, pacche sulle spalle e cordialità alla presentazione del libro dell'ex ministro segnano una tregua dopo giorni di tensione nel centrosinistra. Chi si attendeva un secondo round dopo il recente scambio di accuse al vetriolo tra dem e 5s è rimasto deluso. Schlein e Conte ribadiscono l'impegno e la «responsabilità» nel costruire un'alternativa all'attuale governo. Anche se nessuno dei due rinuncia a qualche frecciatina. Il rimbrotto del «padre nobile» del centrosinistra è chiaro. «Se non si mettono assieme 5 stelle, Pd e altre forze riformiste, al governo non ci andranno mai», avverte Prodi. Che non manca di chiedere a Conte di scegliere tra Biden e Trump. «Deve ancora decidere in quale polo stare», aggiunge l'ex premier. E la polemica sull'ambiguità del presidente pentastellato sulla politica americana arriva dritta alla Camera. È proprio il padrone di casa, Speranza, a metterla sul tavolo. «Quando ho ascoltato Giuseppe su Biden e Trump mi si sono drizzati i capelli», confessa. E le chiome drizzate diventano il fil rouge, tra il serio e il faceto, che legano i vari interventi della presentazione del libro. Conte prima scherza, poi risponde alla “provocazione" di Speranza.

«Biden e Trump non sono sullo stesso piano, sul piano ideologico abbiamo affinità con Biden», chiarisce. Poi affonda: «ho visto però il Pd che ha rinnegato la transizione ecologica con gli inceneritori, un Pd bellicista, e anche a me si drizzano i capelli». Sul fatto che ci siano «posizioni diverse» tra i partiti, i tre leader sono d'accordo. E Schlein non fa a meno di pizzicare i pentastellati. «Differenze ci sono perché non siamo nello stesso partito, e non sarebbe nemmeno auspicabile», afferma. «Se non abbiamo una visione comune in politica estera - ribatte Conte - è meglio che ci provochiamo adesso. Sulla transizione ecologica dobbiamo affinare alcuni capisaldi adesso. Il giorno dopo le elezioni dobbiamo sapere cosa fare». Insomma, il cammino è lungo e Conte resta assai prudente. Anche perché per entrambi, per dirla con il leader 5s: «la responsabilità deve essere costruire un progetto di governo per reale affinità di temi e programmi». «Costruire convergenze con metodo e sui temi», conferma la segretaria dem, che non esclude la partecipazione delle altre opposizioni su battaglie come congedo paritario, scuola e sanità pubblica. «Non è vero - aggiunge Schlein - che l'alternativa non c'è. Se non c'è, è nostro dovere lavorare ogni giorno per costruirla». A partire, secondo la segretaria, dall'impegno sui territori. E con le elezioni Regionali e Amministrative alle porte, i due rassicurano sui tempi dell'intesa. «The sooner the better», taglia corto Schlein, che auspica di chiudere la partita il prima possibile. «In alcuni territori le nostre comunità sono in opposizione, ma da parte nostra, non c'è nessun atteggiamento pregiudiziale, solo ostacoli da rimuovere», dice con cautela Conte. Ad ascoltarli, in platea, una buona parte del governo giallorosso. Il viceministro Pier Paolo Sileri, quindi Stefano Patuanelli e Dario Franceschini, che prende posto accanto a Massimo D'Alema. A suonare la carica, però, è l'ex segretario dem Pier Luigi Bersani: «qui c'è la destra, bisogna darsi da fare. Non è che possiamo stare a pettinare le bambole», A guastare la festa ci pensano però Matteo Renzi e Carlo Calenda, che chiudono le porte ai pentastellati. «Il M5s è di destra e Conte sta con Putin e Trump», spiega il leader di Azione. Per Renzi, il leader M5s è «la stampella» del governo. «E il Pd se ne sta accorgendo», aggiunge.

 

Aci: «Zone 30 riducono incidenti ma non servono ovunque»
«Ridurre la velocità, indubbiamente, è uno dei motivi per i quali si riducono, quasi spariscono, gli incidenti. È assurdo che ancora le persone muoiano attraversando la strada, come è successo a una suora a Roma nei giorni scorsi». Lo dice Angelo Sticchi Damiani, presidente nazionale dell'Automobile Club (Aci), in una intervista a Il Resto del Carlino. Sulla Città 30 spiega: «La vera sfida è quella di riuscire a trovare un equilibrio. Tra l'esigenza di ridurre i danni alle persone, prima di tutto all'utenza della strada più fragile, e la necessità di evitare che le persone passino troppo tempo della propria vita in auto, un sacrificio spiacevole che si impone all'automobilista e che può essere mitigato quando non ci sono rischi specifici per le persone tenendo la velocità ai 50». Quindi precisa: «Zone che hanno una grande presenza di utenza fragile, come strade con ospedali e scuole, giustificano la scelta dei 30 all'ora. Diversamente, si può valutare con equilibrio».

 

Antonio Di Pietro: «La protesta dei trattori crescerà»
«Lavoro la terra che mi ha lasciato mio padre: olio, vino, grano, orzo. Per me, mia sorella, i miei figli e chi mi vuol bene». Lo dice in un'intervista a La Stampa l'ex leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro: «L'amore per la terra è ancora forte, il problema è che non dà più da vivere a nessuno» aggiunge l'ex ministro convinto che la protesta dei trattori «crescerà». In tv «vediamo grandi distese di campi. Una cartolina. La realtà è fatta di famiglie che devono campare con 15-20 ettari» ed è «impossibile». Di Pietro ha «una buona pensione e 20 ettari. C'è chi si fa le settimane bianche e chi pota gli ulivi. Io non devo campare, mi diverto, ma i miei colleghi qui sono disperati».

I principali problemi sono «un'infinità - spiega - I macchinari sono inavvicinabili. La manodopera non si trova: fatico a farmi potare gli ulivi e le viti. I cinghiali distruggono tutto. Poi, nel Centro-Sud non c'è irrigazione: guardiamo il cielo sperando che piova». Le multinazionali «fanno i loro interessi. Il problema è chi permette che realizzino maxi-profitti alle spalle del sistema produttivo diffuso». Gli agricoltori che protestano dicono che è tutta colpa dell'Europa e «hanno ragione. L'Europa sì che potrebbe fare qualcosa. Invece impone regole uguali per tutti, che siano grandi o piccole aziende, sulle colline molisane o nella sterminata pianura tedesca. Come se tutti potessero produrre le stesse cose, nello stesso modo e al medesimo costo». Poi c'è la burocrazia, «un'elefantiaca produzione di divieti e obblighi. Così i piccoli vengono fagocitati». Di Pietro partecipa alla protesta degli agricoltori «a modo mio - sottolinea - idealmente e mettendomi a disposizione. Da qui passano in tanti: chi ha un problema con l'Agenzia delle entrate, con le banche, chi ha bisogno di un consiglio. La porta è sempre aperta».

 

Cina supera Giappone come più grande esportatore di auto
Nel 2023 la Cina ha superato il Giappone come maggiore esportatore di automobili al mondo. L'ha affermato oggi la Japan Automobile Manufacturers Association (JAMA), secondo quanto riporta l'agenzia di stampa France Presse. Il Giappone ha esportato 4,42 milioni di veicoli nel 2023, secondo i dati JAMA, rispetto ai 4,91 milioni esportati dalla Cina, come riportato questo mese dalla China Association of Automobile Manufacturers. L'ufficio doganale cinese ha fissato il numero ancora più alto a 5,22 milioni, un enorme aumento su base annua del 57%, di cui un veicolo su tre è completamente elettrico

 A differenza delle loro controparti cinesi, le case automobilistiche giapponesi, inclusa la Toyota - la più grande azienda mondiale per unità vendute -, producono tuttavia enormi volumi di veicoli anche in altri paesi. Nel 2022, la produzione di veicoli in Giappone, escluse le motociclette, è stata pari a 7,84 milioni di unità, ma la produzione all'estero è stata di quasi 17 milioni di unità. Invece di modelli completamente elettrici, i produttori giapponesi scommettono da tempo sugli ibridi che combinano alimentazione a batteria e motori a combustione interna, un'area di cui sono stati pionieri con veicoli del calibro della Toyota Prius. Nel 2022, solo l'1,7% delle auto vendute in Giappone erano elettriche, rispetto a circa il 15% nell'Europa occidentale, al 5,3% negli Stati Uniti e quasi una su cinque in Cina. Le case automobilistiche giapponesi intendono rafforzare la loro produzione di veicoli elettrici, a partire dalla Toyota che punta a vendere 1,5 milioni di veicoli elettrici all'anno entro il 2026 e 3,5 milioni entro il 2030.

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