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Esteri
novembre, 2024

Le stragi negli occhi dei bambini

I piccoli finiti sotto le bombe israeliane hanno nei disegni l’unico mezzo per esprimere un orrore incomprensibile. Sono vittime innocenti colpite gravemente nel corpo e nell’anima

Gaza con gli occhi dei bambini ha un prima e un dopo.
Il dopo è una terra di nuvole nere, bombe dal cielo, case e alberi in fiamme, sangue sulla terra in cui prima c’erano fiori.
 

È una terra assediata, che i bambini cercano di proteggere dentro un cuore immaginario nei disegni che sono spesso per loro l’unico modo per dire l’indicibile.

I bambini raccontano così, nelle immagini stimolate dagli psicologi di Medici senza Frontiere per elaborare i gravi traumi vissuti, la guerra e l’innocenza persa.

L’hanno persa sotto bombe, proiettili e granate che uccidono e feriscono. Mentre osservano corpi senza vita, di fratelli e sorelle, anche dei genitori. 

L’hanno persa nel terrore di morire, o perdere una o entrambe le gambe, succede a 10 bambini al giorno, o avere il viso e parti del corpo ustionati. A tal punto da essere sfigurati, irriconoscibili agli stessi familiari. I genitori a Gaza da tempo si scrivono addosso, sul corpo, i nomi dei figli per poterli identificare.

Genitori, bambini che vivono in una condizione di rischio permanente, con il suono costante di bombardamenti e droni, mai al sicuro: non nelle scuole e nei rifugi, su cui hanno aperto il fuoco i carri armati. Non negli ospedali che sono stati danneggiati da attacchi aerei. Non nella tenda, in campi sovraffollati.

«A Gaza non esiste più qualcosa che possa definirsi una città. A Khan Younis facevamo fatica a muoverci tra i palazzi distrutti per raggiungere il nostro ospedale che era gremito di persone, per la maggior parte bambini con ferite gravi», racconta collegato dalla Giordania Davide Musardo, psicologo clinico per Medici Senza Frontiere che è stato diverse volte a Gaza dove Msf ha perso 8 dei suoi operatori. Nell’ospedale di chirurgia ricostruttiva ad Amman i medici stanno ora curando i pochi ragazzi di Gaza che sono riusciti ad essere evacuati dalla Striscia. In totale, il 32% dei loro pazienti, oltre 17mila, sono minori di 15 anni, una percentuale che supera il 40% per i bambini in visita ambulatoriale. Il 50% della popolazione di Gaza ha meno di 18 anni: sono i bambini a portarsi dietro le ferite più profonde della guerra. Alcune visibili, altre invisibili ma «tangibili»: «Questa guerra sta devastando soprattutto la personalità dei bambini», continua Davide Musardo, responsabile per Msf delle attività della salute mentale nel Medio Oriente. «I bambini non hanno la capacità di comprendere quello che succede, emerge subito quest’impossibilità di riuscire a raccontarlo».

Il primo giorno in cui è entrato in ospedale, Musardo ha sentito «urla quasi disumane». Era il pianto dei bambini, in particolare di Halima (nome di fantasia), otto anni. «Aveva un attacco di panico e nessuno riusciva a calmarla, a comprendere il suo dolore».

Un dolore che poi ha iniziato a prendere forma: «Con i nostri incontri successivi ho capito che i suoi genitori erano stati uccisi durante un bombardamento. La zia era l’unica che poteva prendersi cura di lei ma era completamente ustionata». Quando i bambini si fanno male cercano l’amore dei genitori o di chi si prende cura di loro. Una rete sicura di sostegno che non esiste più per molti bambini rimasti soli. Depressione, stati di ansia, incubi, crisi acute da trauma come attacchi di panico: «Il minimo dolore, la vista del sangue, riattiva a livello psicologico il trauma della perdita, succede ad esempio durante i bendaggi o le sessioni di fisioterapia, nonostante gli antidolorifici».

Bambini che arrivano a desiderare la morte: «Diversi piccoli pazienti hanno chiaramente espresso di voler morire piuttosto che vivere quest’incubo, questo inferno senza fine».

Un inferno che esce fuori nei disegni: «Sono come fotografie, perché i bambini sono ancorati al presente, è difficile per loro pensare al futuro. Sono istantanee della catastrofe, ci sono droni nel cielo, perché il suono è incessante e non dà mai pace, soprattutto la notte, ci sono gli aerei da guerra, i palazzi distrutti, il sangue per strada. La morte per loro è sempre presente, anche nel racconto degli adulti che soffrono per i cari persi».

Save the Children stima che 21mila bambini siano dispersi a Gaza, 4mila probabilmente intrappolati sotto le macerie di case, scuole e ospedali. Almeno 17mila bambini, secondo l’Unicef, sono rimasti orfani a causa degli attacchi israeliani dall’inizio del conflitto il 7 ottobre.

«Tanti bambini ospedalizzati non avevano più letteralmente nessuno della famiglia che potesse prendersi cura di loro, c’erano i vicini di casa o di tenda. I palestinesi sono molto resilenti e coesi ma purtroppo per questi bambini sarà una vita molto dura perché la famiglia è venuta a mancare da un giorno all’altro. La comunità non darà mai un amore incondizionato perché è a sua volta sofferente e ha, avrà bisgono in futuro, di un supporto psicologico».

Anche il gioco aiuta a superare il trauma. Davide Musardo racconta l’esperienza del gioco terapeutico, di ruolo, fatto con alcuni bambini di Gaza.

«Ad Halima abbiamo chiesto di fare finta di essere una dottoressa, le ho regalato una penna di Medici Senza Frontiere e fatto indossare il camice. Era felice, questo le ha pernesso, con il tempo, di riuscire a gestire meglio gli attacchi di panico, le emozioni nascoste nelle sue grida disperate». Halima non ha mai dimenticato quel gesto, il suo ultimo giorno in ospedale ha detto a Musardo: «Ricordo quando sei venuto e mi hai detto che potevo essere una dottoressa. Quando sarò grande farò la dottoressa, ti chiamerò e lavoreremo insieme per i nostri bambini». 

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