Comincia proprio da Bruxelles la vera grande crisi dell’auto. A qualche chilometro da quel Parlamento che dal 2035 manderà in pensione l’auto con il motore termico per sostituirla con quella elettrica, sta infatti per chiudere lo stabilimento Audi dove viene prodotta l’ammiraglia Q8 e-tron, appunto a batterie. È il primo segnale della più grande crisi dell’industria mondiale dell’automotive. Una filiera alla vigilia di una rivoluzione che la renderà profondamente diversa. Ma che soprattutto comporterà drastici tagli e ridimensionamenti. Il via ufficiale alla crisi è arrivato dalla Germania, locomotiva d’Europa, dove secondo uno studio commissionato dall’associazione dell’industria automobilistica tedesca (Vda) «la trasformazione in corso potrebbe portare alla perdita di 186 mila posti di lavoro entro il 2035». Mercato dove regna incontrastata la Volkswagen che rappresenta il più grande datore di lavoro tedesco e che ha appena annunciato di voler chiudere almeno tre stabilimenti dei dieci presenti (sei in Bassa Sassonia, tre in Sassonia e uno in Assia).
Così, quando il colosso comincia a stringere la cinghia l’effetto domino diventa inarrestabile. Subito dopo, infatti, è arrivata la giapponese Nissan, alle prese con un’importante crisi di vendite e ricavi, costretta a tagliare 9.000 posti di lavoro e a ridurre la capacità produttiva del 20% in tutto il mondo. Decisione a cui si aggiungono gli esuberi di Ford in Germania, l’aggiornamento al ribasso delle previsioni finanziarie 2024 di Porsche, Bmw e Aston Martin. Stessa musica per il gruppo Stellantis, guidato da Carlos Tavares, che ha previsto nuovi stop agli stabilimenti italiani di Pomigliano e Termoli mentre a Mirafiori è ferma la produzione della Fiat 500 elettrica. Non va meglio negli Usa, dove è stata annunciata la riduzione di circa 1.000 unità della forza lavoro nell’impianto di Toledo, in Ohio, dove vengono prodotte le Jeep.
Come se non bastasse, ci si mette pure la Toyota, leader mondiale delle vendite, che ha registrato per la prima volta, nel terzo trimestre di quest’anno, un crollo dell’utile del 20%, a causa di difficoltà produttive e di mercato in due Stati chiave, Giappone e Stati Uniti. Ma la crisi dilaga fino all’indotto e alla componentistica. Sempre per rimanere in Germania, il fornitore automobilistico tedesco Schaeffler ha annunciato la soppressione di 4.700 posti di lavoro in Europa e la chiusura di due stabilimenti. Il piano di tagli corrisponde al 3% del monte salari del gruppo, che conta 120.000 dipendenti. Le riduzioni di personale riguarderanno principalmente dieci stabilimenti in Germania e altri cinque in Europa, tra il 2025 e il 2027.
Insomma, l’industria che finora ha sostenuto e trainato l’economia europea e in parte quella mondiale è entrata nel periodo più buio degli ultimi decenni. E probabilmente di sempre. Ma la domanda che in molti si pongono è: «come ha fatto l’Europa a cacciarsi in una crisi così profonda in così poco tempo?». I motivi possono essere ricondotti in gran parte alla trasformazione ecologica imposta proprio dal Parlamento Europeo ma anche all’escalation del costo delle automobili e dell’energia. E non ultimo all’arrivo nel vecchio continente dei più economici e vantaggiosi modelli cinesi. Ma all’orizzonte c’è anche dell’altro. Secondo Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, «a gennaio del prossimo anno scatterà qualcosa che porterà alla fine dell’auto europea se non ci muoviamo in fretta: è previsto un sistema di multe per le case costruttrici pari a circa 17 miliardi di euro, che determinerebbe il collasso dell’intero comparto». Già perché, salvo un rinvio dell’ultim’ora chiesto proprio dal governo italiano, è in arrivo la maxi sanzione per non aver rispettato il target di riduzione delle emissioni, fissato a 95 g/chilometro di CO2. Si tratta di una multa di 95 euro per ogni grammo di CO2 in eccesso per ogni auto immatricolata e visto che in Italia la media per i costruttori è di almeno 120 g/km, i conti sono presto fatti. L’allarme è alto anche secondo il Centro Studi della Confindustria che nel rapporto di previsione sostiene che «il crollo del settore dell’auto, tornato circa al livello di produzione di inizio 2013, data la sua rilevanza, mette a rischio la crescita italiana sia di breve che di medio-lungo periodo: -26,1% la produzione a luglio 2024 rispetto a luglio 2023 contro il -3,8% della produzione industriale totale; nel comparto autoveicoli propriamente detti il calo è ancora più profondo (-34,7%)». Ancora peggio è andata a settembre con una produzione domestica crollata del 50,5 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente mentre nel cumulato dei nove mesi sono state prodotte 256 mila autovetture, in diminuzione del 38,3% su gennaio-settembre 2023. Drammatico il bilancio finale per l’intero 2024 con una produzione che, secondo AlixPartners, scenderà di circa mezzo milione di pezzi.
«Il fenomeno», si legge ancora nel rapporto Csc, «seppur legato alla debolezza della do- manda, non è solo congiunturale. C’è anche qualche cambiamento nelle abitudini che riduce la domanda: tra i giovani sarebbe più basso il desiderio di utilizzare un’automobile rispetto alle precedenti generazioni ed è in forte crescita il car sharing. Ma incide sicuramente anche il listino: in Europa nel 2023 l’automobile elettrica più economica sul mercato era del 92% più costosa del corrispettivo più economico a combustione interna, a causa delle batterie, che incidono circa per il 40% sul totale dei costi». Dunque, conclude la Confindustria: «L’associazione tra le trasformazioni in corso e il crollo della produzione nel settore dell’auto non sembra essere casuale».
Dunque è ancora una volta è l’auto elettrica a finire nel mirino. E ad assestarle un altro micidiale colpo potrebbe essere proprio Donald Trump. Il presidente americano appena rieletto, da una parte ha ammorbidito le posizioni contrarie alle zero emissioni e all’auto elettrica visto che Elon Musk lo ha sostenuto molto, ma dall’altra ha chiarito con forza che i veicoli a batteria «rappresentano solo una piccola parte del mercato» e che «la gente vuole auto a benzina e ibride».
Quindi, nulla di nuovo rispetto al passato con qualche problema in più per l’Europa. Trump, infatti, continua a minacciare una repressione alle importazioni di tutti i veicoli dal Vecchio Continente: «Non comprano le nostre auto, ma in compenso ci danno le loro Mercedes, le loro Bmw, le loro Volkswagen. Metterò fine a tutto questo», è il monito diretto agli europei. Torna così l’incubo di quei dazi del 25 per cento sull’import europeo, soltanto minacciati nel precedente mandato. E sarebbero proprio le case automobilistiche tedesche che esportano negli Stati Uniti complessivamente circa 1,4 milioni di veicoli, le più esposte. Soltanto per Porsche e Mercedes, l’introduzione di una tariffa soltanto del 10% porterebbe ad una contrazione di circa 2,4 miliardi di euro di Ebit, l’utile prima delle imposte. Staremo a vedere ma per l’Europa è senza dubbio un altro macigno sulla transizione energetica e sul futuro, piuttosto traballante, dell’auto elettrica.