La Russia continua ad arricchirsi con il greggio del Cpc: l'inchiesta de L'Espresso con il consorzio Icj svela le ruberie di Mosca e le pressioni delle lobby in Usa e Ue

Negli ultimi vent'anni, mentre scatenava guerre e operazioni militari dalla Cecenia alla Georgia e poi in Crimea e Ucraina, la Russia di Vladimir Putin ha combattuto anche una lunga e tenace battaglia economica per conquistare il controllo di ricchissime infrastrutture energetiche nelle nazioni chiave dell'ex Unione sovietica. Una delle più rilevanti (e meno conosciute) riguarda il Caspian Pipeline Consortium (Cpc), che gestisce uno dei maggiori oleodotti al mondo, il primo costruito in Kazakistan dopo il crollo dell'Urss.

Il super-oleodotto

Inaugurato nel 2001, è lungo 1.500 chilometri e trasporta il greggio dall'enorme giacimento kazako di Tengiz, nel bacino del Caspio, fino al porto russo di Novorossiyrsk, sul Mar Nero. Da queste condutture passa l'80 per cento di tutto il petrolio kazako. Il governo di Mosca ha interessi diretti. Dei 63 milioni di tonnellate di flusso annuale di greggio, quasi 10 sono russe. L'oleodotto è gestito da un consorzio misto tra aziende statali e compagnie occidentali. I maggiori azionisti sono la Federazione Russa con il 24 per cento, la società statale kazaka KazMunayGas con il 19 e la statunitense Chevron con il 15. La stessa multinazionale possiede metà del giacimento di Tengiz e ne è l'operatore tecnico. 

L'inchiesta giornalistica internazionale

La storia segreta di questo oleodotto strategico è raccontata da un'inchiesta, denominata “Caspian Cabals”, coordinata dal Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (Icij), di cui fa parte L'Espresso in esclusiva per l'Italia. Per più di un anno 77 cronisti di 24 Paesi hanno esaminato migliaia di documenti provenienti da fonti interne al Cpc: messaggi di posta elettronica, atti bancari e societari, relazioni di amministratori e consulenti, sentenze, investigazioni e rapporti aziendali.  L'inchiesta evidenzia due fasi di sviluppo dell'oleodotto, che è stato costruito e pagato da compagnie occidentali, con l'appoggio di società kazake, ma è finito a poco a poco sotto il controllo di uomini vicinissimi a Putin. Finora il Cpc ha versato nelle casse statali russe almeno 1,4 miliardi di dollari utili, a cui si aggiungono oltre 300 milioni all'anno di tasse. Entrate che continuano nonostante le sanzioni.

Elstin, Nazarbayev e le compagnie Usa

L'oleodotto fu pianificato negli anni Novanta con accordi firmati da Boris Eltsin, allora presidente russo, e Nursultan Nazarbayev, che ha dominato il Kazakistan dal 1990 al 2019. In quegli anni, numerosi dirigenti e tecnici occidentali segnalano alle gerarchie aziendali una lunga serie di «contratti sospetti» e «pagamenti anomali», che sembrano favorire «oligarchi kazaki collegati al presidente». Il personaggio simbolo di questa prima fase è James Giffen, un banchiere accusato dalle autorità statunitensi di aver distribuito tangenti, attraverso conti svizzeri, per 78 milioni di dollari. Soldi usati, secondo le indagini bancarie, anche per regalare diamanti, vacanze di lusso, motoscafi e pellicce ai familiari del presidente kazako e del suo ministro del petrolio. Al processo, Giffen patteggia una condanna minore per i reati fiscali. Ma sulla corruzione si difende, spiegando di aver agito con l'appoggio della Cia, per promuovere gli interessi americani nell'ex Urss. E il giudice gli dà ragione e lo proscioglie.

Il petroliere russo e i colossi occidentali

Una quota del giacimento di Tengiz viene assegnata già allora alla Lukoil, la prima compagnia petrolifera privata della Russia, fondata da Vagit Alekperov, ex ministro sovietico oggi miliardario. La costruzione dell'oleodotto è finanziata dalle aziende private, che in cambio si dividono il 50 per cento del Cpc: la cordata è guidata dalla Chevron, a cui si aggiungono Exxon-Mobil, Shell e altre, tra cui l'italiana Eni che ha il 2 per cento. Tutte le società, interrogate dal consorzio, hanno «escluso qualsiasi coinvolgimento in attività illecite». E hanno chiarito di non poter rispondere della gestione del Cpc. L'Eni ha anche sottolineato che le indagini giudiziarie sulle sue attività in Russia e Kazakistan furono archiviate su richiesta della stessa Procura di Milano. 

Arriva lo zar

La seconda fase del Cpc si apre dopo l'ascesa al potere di Putin, quando iniziano i problemi con la Transneft, la società statale che possiede gli oleodotti russi. La tensione aumenta quando il presidente mette a capo di quell'azienda un amico fidato, Nikolay Tokarev, che fu suo collega nel Kgb a Dresda. La Chevron è la prima ad accettare «un compromesso» con i russi: viene creato un consiglio di amministrazione dove 5 membri su 22 sono designati da Mosca. L'influenza di Putin aumenta ancora quando il suo governo (attraverso società statali) acquista la quota dell'Oman, che aveva il 7 per cento. Da allora vari manager occidentali confidano che gli uomini di Mosca usano «metodi aggressivi» e «intimidazioni da bulli» per assegnare i contratti ad aziende raccomandate. Per le stazioni di pompaggio del petrolio, ad esempio, i dirigenti stranieri chiedono una gara d'appalto, ma nel giorno di apertura delle buste «vengono tenuti fuori dalla sede aziendale», dove entrano solo i russi. 

Corruzioni altissima, appalti truccati 

Negli stessi anni, la portata dell'oleodotto viene raddoppiata, ma i costi dei lavori schizzano da 1,5 a 5,4 miliardi, più del triplo. I manager occidentali segnalano «prezzi esorbitanti», «opere eseguite male», perfino «48 milioni pagati per lavori mai fatti» e parlano di «corruzione altissima». Le accuse restano però negli archivi: nessuno si azzarda a denunciare pubblicamente gli uomini di Mosca. Un caso esemplare è l'estromissione di una società olandese di rimorchiatori, Smit Lamnalco. Nel 2013, dopo anni di «vessazioni» russe, il suo contratto viene riassegnato alla Transneft Service. L'oggetto è identico, ma nel passaggio ai russi il prezzo aumenta di 32 volte: sale da 28 a 895 mila euro al mese, per un totale di 76 milioni in sette anni. 

Il manager con i soldi a Cipro

L'inchiesta Caspian Cabals ora illumina i retroscena di rincari come questo. L'azienda di Mosca ha noleggiato i sette rimorchiatori pagando oltre 10 milioni di dollari all'anno, come si legge nelle carte, a una rete di società di Cipro, che risultano controllate segretamente da due personalità russe: il viceministro per l'edilizia, Marat Khusnullin, e un suo familiare (consuocero), Sergey Kireyev. Che è l'amministratore della stessa Transneft Service.

Il golpe di Mosca 

Gli scontri tra gli azionisti dell'oleodotto culminano nel 2020 con una specie di golpe aziendale. In marzo, mentre scoppia la pandemia da Covid-19, i delegati russi abbandonano la riunione per il rinnovo delle cariche del Cpc. In maggio, 20 manager occidentali si vedono accusare di avere documenti illegali e devono scappare dalla Russia. In assenza di un cda, la gestione dell’oleodotto passa, per statuto, al direttore generale, il russo Nikolai Gorban, ex vicepresidente della Transneft: un fedelissimo di Tokarev. I manager americani si scrivono allibiti che «Gorban non sa usare il computer!». Però ha altre doti. 

Il Palazzo di Putin scoperto da Navalny

Nel gennaio 2021 il sito del giornalista e attivista Alexei Navalny (morto in prigione nel febbraio scorso in Siberia) pubblica il celebre video sul “palazzo di Putin” sul Mar Nero: una proprietà faraonica, con eliporto, casinò, saloni enormi, maxi-parco, spiaggia privata con ascensore nella roccia e molto altro. La redazione di Navalny documenta che è costata più di un miliardo di euro e che i finanziatori sono gli oligarchi più vicini a Putin, assieme a manager statali come Tokarev. L'inchiesta Caspian Cabals ora rivela che il palazzo di Putin ha ricevuto almeno 18,9 milioni di dollari proprio dalla Transneft Service, quella dei rimorchiatori di Cipro. 

Il Cpc entra in guerra

Dopo l'attacco russo all'Ucraina, l'oleodotto diventa un'arma di guerra. Il 22 marzo 2022 il Cpc smette di funzionare, per la prima volta nella sua storia. Il blocco fa salire del 5 per cento il prezzo mondiale del petrolio. In aprile i dirigenti di Chevron, Exxon, Eni e Shell firmano insieme una dura lettera di protesta (finora inedita) indirizzata a Gorban. Ma dal 2022 al 2024 si susseguono altri 9 stop del greggio. L'oleodotto intanto continua ad arricchire il regime: solo nel 2022 ha versato 320 milioni di tasse alle autorità russe. Dall'inizio della guerra in Ucraina, inoltre, le società statali che ne sono azioniste hanno incassato dividendi per oltre 816 milioni

Le pressioni delle lobby

L'inchiesta Caspian Cabals chiarisce anche perché il Cpc è stato risparmiato dalle sanzioni. Nel corso del 2022 la società kazaka KazMunayGas ha assoldato, per 3,8 milioni di dollari, una società di lobby statunitense, che ha fatto pressioni, legalmente, sulle autorità americane ed europee. Negli Usa i lobbisti hanno organizzato 101 riunioni con funzionari, visite a nove senatori e 48 deputati, più otto incontri con Geoffrey Pyatt, il vicesegretario di Stato con delega all'energia che, interpellato da Icij, ha riconosciuto di «aver lavorato per mantenere l'oleodotto in funzione, tutelando gli investimenti delle compagnie americane».

Niente sanzioni neppure in Europa

Le lobby si sono attivate anche a Bruxelles. Dieci settimane dopo l'invasione russa dell'Ucraina, il vicepresidente della Exxon per l'Europa ha scritto a un funzionario dell'ufficio di gabinetto di Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione, facendo notare che negli Usa il Cpc era stato escluso dalle sanzioni. Dopo questo e altri interventi, l'oleodotto non è stato sanzionato neppure dalla Ue. Alle domande di Icij, la Commissione ha risposto che «le decisioni sulle sanzioni sono prese all'unanimità dagli Stati membri».