Una bambina che cresce in simbiosi con la sua tata adorata. Una tata che ricambia tutto quell’amore ma viene da lontano e improvvisamente deve fare ritorno alla sua isola. Un’estate che resterà diversa da tutte le altre perché è quella in cui la piccola Cléo capisce che Gloria non è “sua”, e soprattutto che non lo sarà per sempre. Anche se nulla, forse, eguaglierà mai la ricchezza di quei giorni a Capo Verde. Una ricchezza fisica, emotiva e anche intellettuale, per noi spettatori, cui la franco-georgiana Marie Amachoukeli, classe 1979, dà forma con intensità commovente.
Non solo perché usa brevi e magnifici inserti in animazione per spingersi nelle zone più intime dell’esperienza di Cléo - i ricordi più remoti, lo splendore assoluto e perduto di un’età unica, la fisicità perentoria di emozioni e pensieri - ma perché pur senza sollevare lo sguardo da Cléo e Gloria (Louise Mauroy-Panzani e Ilça Moreno, portentose), non smette mai di raccontare il mondo intorno a loro, dunque la distanza tra l’Europa e le sue ex-colonie. Distanza che il presente non riduce ma semplicemente ridisegna.
Gloria infatti non è solo la madre vicaria di Cléo (scopriremo tardi perché). È – anche – una migrante economica, che il figlio rimasto a Capo Verde quasi non conosce e dunque detesta («Quella puttana! Non le devo niente»). Cosa che non facilita i rapporti con quella pseudosorellina bianca e occhialuta venuta da Parigi. Ma questo è solo uno dei mille fili di un film abilissimo nel tenere insieme i più vari sottotesti senza mai perdere di vista l’essenziale.
Mentre Cléo impara a crescere, ovvero a separarsi, intorno a lei accadono infatti mille cose piccole e grandi, talvolta enormi. Capo Verde pulsa di vita, di incontri, di segreti che non sempre verranno svelati. Ci sono gravidanze, legami più o meno nascosti, riti religiosi, una lingua incomprensibile ma carica d’urgenza, vulcani in lontananza e sabbie in cui i piedi sprofondano. Tutto visto con gli occhi attenti di una bambina che insieme con quel mondo sconosciuto scopre se stessa. E con se stessa Gloria, la sua vita passata e presente, tutto ciò che la macchina da presa non mostra ma ci fa capire.
Un piccolo grande film, che tiene in perfetto equilibrio due personaggi e due mondi paralleli, con la grazia dei veri narratori. Forse non è un caso se il padre di Cléo, che appare in poche scene decisive con il suo sguardo bonario e la sua fisicità imponente, ricorda in modo impressionante Balzac.
L’ESTATE DI CLÉO
(AMA GLORIA)
di Marie Amachoukeli,
Francia, 84'