Il proprietario di una collezione d'arte di altissimo valore vuole donarla alla città calabrese. Ma la direttrice del museo non è interessata e il sindaco dice di non sapere

Lo stupore ti assale non appena varchi la soglia. Pavimenti in pietra secolari e, tutt’attorno, arte, in qualunque forma: tetto a cassettoni decorati, quadri, damaschi, statue. In salotto un originale di “Forme Uniche nella continuità dello Spazio”, il bronzo di Umberto Boccioni, 120 cm di altezza, inciso sui 20 centesimi di euro, e poi, in una camera attigua, il colpo finale, che ti toglie il fiato: un’esposizione fitta fitta di vasi, anfore, piatti, statuine e suppellettili in ceramica, terracotta e metallo, che raccontano 5.000 anni di storia. «Sono circa 600 pezzi, ritrovati dall’800 in poi, gran parte ereditati dai rami di famiglia, altri che ho acquistato all’asta per dare uno spaccato completo delle culture del Mediterraneo», spiega Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, che di questa casa-museo nel cuore di Roma è il proprietario.

 

Dal neolitico all’età del bronzo, fino ai fenici, cartaginesi, etruschi, greci e, infine, italici, ogni reperto, intatto, narra, appunto, un pezzo di storia e, in particolare, la storia del mito, impresso sugli esemplari più pregiati, greci, nelle due versioni, pre e post V secolo a.C., a figure nere e rosse. Una collezione di «eccezionale interesse», certifica la Soprintendenza, in parte vincolata da indivisibilità e certamente di rara bellezza, che Bilotti vorrebbe da tempo donare alla collettività, senza riuscirci. «L’ho offerta anni fa a Cosenza, mia città natale, sulla scia della mia famiglia che, con donazioni di opere uniche, antiche e moderne, ha già generato sei musei, tra Roma e la Calabria. Ma è stata inspiegabilmente rifiutata». Ai piedi della città vecchia, c’è un piccolo Museo archeologico comunale, il Museo dei Bretti e degli Enotri, poco noto, anche ai cosentini. «Mi piacerebbe andasse lì. Il Museo conserva i manufatti dei due popoli locali, acromi, senza sviluppi artistici. Cosenza, però, era Magna Graecia, vicina ai grandi centri di allora, Crotone, Sibari, Locri. La collezione porterebbe in città la storia del suo contesto eccellente, regalando ai ragazzi, cui vorrei si rivolgesse, un percorso didattico unico in cui vedere da vicino ciò che studiano sui libri».

 

Incantati dinanzi a tanta meraviglia, sorprende che Cosenza non abbia colto al volo l’offerta, gratuita, di un patrimonio così speciale. E, nel ricostruire i fatti, scopriamo cose sorprendenti. La direttrice del Museo dei Bretti, Marilena Cerzoso, conferma: «È una scelta di coerenza. Fin dall’apertura, nel 2009, ho mirato a riportare qui i reperti trovati in città, ma conservati altrove. Con un finanziamento, ci sono ora riuscita. La collezione di Bilotti sarebbe dunque un fuori contesto. L’amministrazione comunale ha sposato la mia idea e, anche se ora dicesse altro, mi opporrei, ma solo perché stiamo percorrendo un’altra strada». Insomma, per le ceramiche greche dai decori mitologici o le anforette italiche dalle forme inconsuete non ci sarebbe posto, per la direttrice, tra i tre piani del palazzo, di cui al momento uno solo è già occupato e l’altro lo sarà a breve dai reperti recuperati. Non ci sarebbe connessione con la sua visione scientifica, né spazio, dice. «In realtà la collezione – precisa amareggiato Bilotti – sta in una sola stanza, bastano tre pareti, come lei stessa vede». Al tempo dell’offerta, a guidare la città era Mario Occhiuto, oggi senatore di Forza Italia. Aveva dimostrato interesse, ma poi non fece nulla. Il successore, Franz Caruso, sindaco Pd, dice invece addirittura di non saperne nulla e di apprenderlo da noi: «È la prima volta che lo sento, l’offerta risale sicuramente a prima del mio mandato, la donazione però può essere attrattore culturale e turistico, dunque va valutata, non conosco i reperti, che avranno di certo un valore enorme». E invece, li conoscerebbe eccome, almeno a quanto dice uno stimato docente universitario cosentino, esperto in materia: «Il sindaco sa benissimo di che si tratta, gli ho mostrato io le immagini poco dopo l’elezione, le ha viste non solo sul telefono, ma gliele ho stampate e date, era anche interessato. Gli ho detto che era un patrimonio che non ci si poteva permettere di perdere, gli ho presentato io Bilotti e dovevano fissare un incontro». Che non c’è, però, mai stato. Caruso non ricorda?

 

Fatto sta che Cosenza non è nuova a queste vicende, registra purtroppo un infelice precedente. Lo zio di Roberto, Carlo Bilotti, era amico personale dei più grandi artisti del ’900, di cui collezionò numerosissime opere, molte da lui stesso commissionate: l’unico doppio ritratto di Andy Warhol, ad esempio, è di sua moglie e sua figlia ed è esposto al Museo di Villa Borghese a lui intitolato. Negli anni ’90 aveva offerto alla sua città, tra tante donazioni, anche quindici Picasso cubisti, e poi Chagall, Braque, Matisse, Mirò, Kandinsky e altri, ma gli fu risposto «dove le mettiamo?» e così quelle inestimabili opere – quotate centinaia di milioni di dollari – finirono in un trust tra New York, Basilea e altre città. «Chi ce l’ha un Picasso in Italia? Nessuno, neanche Roma! Cosenza avrebbe potuto averne quindici», commenta ancora il nipote Roberto. «C’è anche un altro aspetto trascurato, il collezionismo del territorio. A Roma ci sono solo due Musei intitolati a privati, e sono il Bilotti e il Giovanni Barracco, guarda caso anche lui collezionista cosentino, di cui però a Cosenza non c’è memoria. La Calabria non partorisce solo bravi produttori di soppressate o ’ndranghetisti, ma anche raffinatissimi collezionisti. Dovrebbe essere un vanto, e invece…». La (triste) storia si ripete.