Opinioni
20 aprile, 2025

I conti reggono ma la produttività scende ancora

Pil bloccato, occupazione solo a basso salario. Le buone notizie sulla finanza pubblica non bastano

La pubblicazione del Documento di Finanza Pubblica (Dfp) da parte del governo la scorsa settimana ci dà l’opportunità di fare il punto sullo stato dell’economia italiana in questi primi giorni della guerra dei dazi, iniziata da Trump il 2 aprile e poi, temporaneamente e solo parzialmente sospesa. Come sempre ci sono luci e ombre. Andiamo per punti (mi concentro sul 2025 perché, vista l’attuale incertezza, non vale la pena di guardare più in là).

 

Reddito: ossia il nostro Pil perché il Pil, quello che viene prodotto, è anche quello che viene distribuito (semplifico un po’) e quindi è il reddito degli italiani. Nel dicembre scorso, quando la legge di bilancio venne approvata, il governo pensava che il Pil potesse crescere dell’1,2 per cento, al netto dell’inflazione. La previsione del governo 4 mesi dopo è dello 0,6 per cento. Il Dfp attribuisce questa revisione alla congiuntura internazionale. Tuttavia, gli ultimi sviluppi di tale congiuntura (la guerra dei dazi, in particolare) non sembrano essere stati davvero inclusi. Il problema è, semmai, lo scarso slancio con cui il Pil è cresciuto nella seconda parte del 2024: una crescita media nei due trimestri dello 0,05 per cento, praticamente fermi. Partiamo da questo risultato e ipotizziamo che, nonostante la guerra dei dazi, il Pil cresca ogni trimestre di quest’anno dello 0,2 per cento, quindi con una piccola accelerazione. Se così fosse, nella media del 2025 il Pil crescerebbe dello 0,6 per cento, come indicato nel Dfp. Gli indicatori sul primo trimestre suggeriscono che i primi mesi del 2025 siano andati un po’ meglio degli ultimi del 2024, per cui un po’ di accelerazione ci può essere stata, ma occorrerà ora vedere gli effetti della guerra dei dazi. In conclusione, arrivare allo 0,6 per cento previsto ora dal governo resta difficile, a meno di una veloce pacificazione sul fronte dazi.

 

Occupazione: dopo il rapido aumento nel 2023 e nella prima parte del 2024 (700.000 nuovi posti di lavoro), l’occupazione si era fermata dopo agosto. A gennaio ha però ripreso a crescere. Tutto sommato il quadro resta ancora positivo. Ma qui si fermano le buone notizie. La crescita dell’occupazione nel biennio 2023-24 ha ecceduto di gran lunga quella del Pil, il che significa che la produttività è scesa (del 2,1 per cento cumulato, ci dice il Dfp). Perché è scesa la produttività? Il taglio delle retribuzioni dovuto all’inflazione nel 2021-22, ha probabilmente indotto le imprese ad assumere lavoratori marginali, a bassa produttività e basso salario. Inoltre, l’aumento dell’occupazione è stato particolarmente forte in settori a bassa produttività (commercio, costruzioni e pubblica amministrazione). Non un grande risultato, quindi.

 

Finanza pubblica: qui è dove si concentrano le buone notizie. Il deficit pubblico l’anno scorso è stato più basso di circa 20 miliardi (0,9 per cento del Pil) rispetto all’obiettivo, grazie al buon andamento delle entrate. Già questo si sapeva, visto che i dati sono stati pubblicati da più di un mese dall’Istat. Quel che non si sapeva è che l’effetto sembra estendersi al 2025. Questo consente di mantenere invariato al 3,3 per cento del Pil la previsione di deficit per il 2025, nonostante il rallentamento dell’economia di cui sopra. Tutto sommato, anche alla luce di questi risultati, l’agenzia di rating Standard and Poor’s ha migliorato la valutazione dei titoli italiani, un upgrade che è meritato in termini di gestione dei conti.

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