
A questa sinistra Arpaia si contrappone dichiarandosi "antimoderno", senza sentirsi per questo un "tradizionalista vecchio stampo", bensì "un non-conformista della modernità". Cioè un critico delle prospettive di uno sviluppo illimitato e dell'idea di progresso che vi è collegata. Ostile all'imperio del mercato. Avverso all'affermazione di un individualismo portato all'eccesso, che non riconosce autorità alcuna sopra all'"io" personale.
In realtà, il bersaglio polemico di Arpaia non è tanto la sinistra, ma il liberalismo a cui, secondo lui, la sinistra ha finito per consegnarsi. Un liberalismo un po' caricaturale, in verità, dal momento che esalta i diritti individuali, dimenticando del tutto i doveri. Al contrario, Arpaia vorrebbe che si restaurasse un equilibrio nelle relazioni fra le persone e si facesse valere il principio di responsabilità. Che i valori della comunità fossero ripristinati e alle giovani generazioni venisse insegnato il rispetto degli obblighi che li uniscono alla società. Queste esigenze sono ben argomentate da una scrittura provocatoria e intelligente, che qui e là avrebbe forse tratto una più matura ispirazione, invece che da Marcello Veneziani e dagli autori della destra tradizionalista, dal filone negletto della sinistra di cui hanno fatto parte Adriano Olivetti e Ignazio Silone.
Bruno Arpaia, 'Per una sinistra reazionaria', Guanda, pp. 182, € 12