Reportage esclusivo da Molenbeek, il quartiere di Bruxelles fucina di jihadisti. “Ecco come i nostri figli ci hanno lasciato per abbracciare la causa dello Stato islamico”
Casa per casa, scuola per scuola, centro culturale per centro culturale. Le madri dei jihadisti di Molenbeek, i giovani che si sono convertiti all’Islam violento da uno stile di vita laico e in alcuni casi persino libertino, hanno deciso di combattere l’ultima battaglia per i propri figli: capirli.
Solo così, spiega Saliha Ben Ali, una delle più attive, possiamo salvare altre mamme dal “fare la nostra stessa fine, diventare come noi orfane d’enfants”. Casa per casa, scuola per scuola, l’Espresso ha voluto seguirle, nel reportage in edicola da venerdì 25 marzo e online su E+, per raccontare i loro incontri privati, le loro iniziative e le loro storie dai luoghi nascosti di questo quartiere d’immigrati alle porte di Bruxelles.
“Dimenticatevi la religione, è il disagio sociale che ce li porta via”, dice una di loro a pochi passi dalla Place Communale, neanche due minuti a piedi dalla casa bianca del civico 30 dove abitava la famiglia Abdeslam. “Ora l’insistenza dei giornalisti ha costretto la famiglia a trasferirsi, è da novembre che vengono a caccia di terroristi fregandose della realtà sociale di questo comune”, dice Jamila Hamdaoui, una delle responsabili del gruppo “Les Parents Concernés” (genitori preoccupati).
Schivando i bar pieni di soli uomini, che sorseggiano il tipico thé alla menta ignorando le loro donne che portano avanti una battaglia di civiltà, le signore anti-jihad si danno da fare in modo frenetico. Quasi fossero tarantolate, combattono affinché i giovani foreign fighters che da qui partono per unirsi a Daesh in Siria e Iraq “la smettano di comprare biglietti di sola andata per le loro tombe”. [[ge:rep-locali:espresso:285188956]] Dal taxista che ha passato la giornata chiuso nella sua casa di rue de Quatre Vents perché bloccato dal blitz per l’arresto di Salah Abdeslam, fino ai racconti commoventi delle madri e le analisi di specialisti come Fabio Merone dell’Università di Anversa. Tutti concordano che l’estremismo religioso di questi giovani non è altro che “rabbia vestita d’Islam”. Altrimenti non si spiegherebbero gli incontri con Salah “che beveva birra e fumava spinelli in un locale” a poche settimane dagli attacchi del Bataclan, o le invettive arrabbiate del foreign fighter Mohammed che poco prima di partire per la Siria voleva “essere biondo e chiamarsi Jean-Jacque” per non essere costretto a fare lo spazzino.
Su questi casi di disperazione e disagio sociale agiscono i reclutatori di Isis, che trovano un terreno fertile in particolare nelle seconde generazioni costrette in un limbo identitario che le fa sentire perdute: immigrati musulmani in Belgio, dove sono cresciuti, ma anche stranieri nel paese natio. In qualche modo la stessa perdizione esistenziale che garantisce giovani reclute alle organizzazioni mafiose nostrane, dicono alcune osservatrici di Molenbeek di origine italiana che arrivano a paragonare le iniziative delle madri all’attivismo culturale di Falcone e Borsellino prima dei tragici attentati in cui persero la vita.
Il giorno prima della pubblicazione del reportage, il sindaco e il vice-sindaco di Molenbeek hanno ricevuto l’Espresso nella sede del comune. Ahmed El Khannouss, il numero due, dice di avere 85 nomi sulla lista municipale dei giovani radicalizzati. Alcuni sono in Siria ed Iraq, altri sono ancora a Molenbeek, altri ancora sono andati e tornati “per la gioia anche di alcune di quelle madri di cui ti interessi”.
Meno contenti di questi rientri sono i servizi di sicurezza belga, che sono a conoscenza di 120 foreign fighters tornati in patria fra cui anche il responsabile dell'attentato al Museo Ebraico di Bruxelles. La sindaca Francoise Schepmans lamenta la mancanza di mezzi dedicati al comune, le cui forze di polizia sono ancora commisurate a una popolazione di 77.000 abitanti che negli ultimi anni è in realtà salita a 100.000. Figuriamoci allora se ci sono fondi per sostenere le iniziative della società civile, come quelle delle “Parents Concernés”. Le madri di Molenbeek dovranno continuare le loro battaglie. Sole.
ha collaborato Esther Judah
LA VERSIONE INTEGRALE SULL'ESPRESSO IN EDICOLA IL 25 MARZO E ONLINE SU E+