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I rimedi sono fasulli. Ma le malattie sono vere. Se le élite al potere continuano a non offrire cure convincenti, potrebbero essere ben presto travolte, e con esse, anche i tentativi di conciliare l’autogoverno democratico con un sistema internazionale aperto e cooperativo.
Come si spiega questo riflusso? La risposta va cercata soprattutto nell’economia. L'aumento della prosperità è un bene in sé. Ma crea anche la possibilità di una politica a somma positiva, che rafforza la democrazia perché così è possibile per tutti un maggior benessere. Se la prosperità tende ad aumentare, le tensioni economiche e sociali diventano più sopportabili. In caso contrario, monta la rabbia.
Il McKinsey Global Institute ha gettato un potente fascio di luce su quel che sta accadendo, in un rapporto intitolato, significativamente, “Più poveri dei loro genitori?”, che dimostra quanta sofferenza abbia provocato in molte famiglie la stagnazione o il calo dei redditi reali: un’esperienza vissuta dal 65 al 75 per cento di esse in 25 delle economie più ricche fra il 2005 e il 2014. Diversamente, dal 1993 al 2005 solo il 2 per cento delle famiglie aveva sperimentato una situazione analoga. Questo vale, naturalmente, per il reddito di mercato, poiché, se si tiene conto della ridistribuzione fiscale, la percentuale di famiglie che ha sofferto di una stagnazione dei redditi reali disponibili si aggirava fra il 20 e il 25 per cento.
Il rapporto ha calcolato l’indice di soddisfazione personale attraverso un sondaggio condotto su un campione di 6.000 cittadini francesi, inglesi e americani. Si è visto così che il grado di soddisfazione dipendeva più dal confronto con le persone che stavano progredendo rispetto alle altre come loro in passato, che non con quelle che stavano migliorando rispetto a quelle più agiate di loro attualmente. Le persone dunque preferivano migliorare la propria condizione economica, anche se non riuscivano a raggiungere ancora il livello dei contemporanei ancor più agiati. In altre parole, la stagnazione dei redditi preoccupa di più della crescente disuguaglianza.
La spiegazione principale della prolungata stagnazione dei redditi reali sta nella crisi finanziaria e nella debole ripresa che ne consegue. Queste esperienze negative hanno distrutto la fiducia delle persone nella competenza e nell’onestà delle élites politiche, amministrative e imprenditoriali. Ma sono intervenuti anche altri fattori avversi. Tra questi l’invecchiamento della popolazione (particolarmente importante in Italia) e il calo della quota dei salari sul prodotto interno lordo (particolarmente importante negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi).
Questa stagnazione del reddito reale, per un periodo molto più lungo rispetto a qualsiasi altro dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, è un fatto politico fondamentale. Ma non può essere l’unica causa del malcontento. Per molti di coloro che rientrano nella fascia intermedia della distribuzione del reddito, anche i cambiamenti culturali appaiono minacciosi. E così lo è pure l’immigrazione, che rappresenta la globalizzazione incarnata. Il possesso della cittadinanza del proprio paese è il bene più prezioso per la maggior parte degli abitanti delle nazioni ricche, che non sono disposti a condividerlo con gli stranieri. Il voto della Gran Bretagna a favore dell’uscita dall'Unione europea è stato un avvertimento.
Che fare allora? Se Donald Trump dovesse diventare presidente degli Stati Uniti, potrebbe essere già troppo tardi. Ma supponiamo che questo non avvenga o, se dovesse accadere, che il risultato non sia poi così disastroso come possiamo temere. Cosa si potrebbe fare dunque?
Innanzitutto, renderci conto che dipendiamo gli uni dagli altri per la nostra prosperità. È necessario trovare un equilibrio fra le asserzioni di sovranità e le esigenze della cooperazione internazionale. Il governo del mondo, seppur fondamentale, deve tendere al raggiungimento di obiettivi che nessun paese da solo potrebbe realizzare e a fornire soprattutto i beni pubblici globali essenziali. Oggi questo significa che il cambiamento climatico è una priorità più alta dell’ulteriore liberalizzazione del commercio mondiale o dei movimenti di capitali.
In secondo luogo, riformare il capitalismo. Il ruolo della finanza è eccessivo. La stabilità del sistema finanziario è aumentata. Ma esso rimane ancora troppo soggetto a incentivi perversi. Viene dato troppo peso agli interessi degli azionisti rispetto a quelli di altre parti interessate nelle imprese.
In terzo luogo, puntare sulla cooperazione internazionale quando questa può aiutare i governi a raggiungere importanti obiettivi interni, il più importante dei quali è forse quello di far pagare le tasse. I possessori di ricchezze, che dipendono dalla sicurezza creata dalle democrazie legittime, non dovrebbero sfuggire a quest’obbligo.
In quarto luogo, accelerare la crescita economica e offrire maggiori opportunità. La risposta sta in parte in un più forte sostegno della domanda aggregata, specialmente nell’eurozona. Ma è altrettanto importante stimolare gli investimenti e l'innovazione. Forse è impossibile migliorare le prospettive economiche. Ma salari minimi più alti e generosi crediti d'imposta per i lavoratori sono strumenti efficaci per aumentare i redditi dei più sfavoriti.
In quinto luogo, combattere i ciarlatani. E'impossibile resistere alle pressioni per controllare l’afflusso di lavoratori non qualificati nei paesi economicamente avanzati. Ma questo non trasformerà i salari. Allo stesso modo, elevare barriere protezionistiche contro le importazioni è costoso e non servirà ad accrescere in misura significativa l’occupazione nel settore manifatturiero, che in Germania è più consistente rispetto agli Stati Uniti o alla Gran Bretagna. Ma la situazione della Germania, che ha un enorme surplus commerciale e un forte vantaggio comparato in questo settore, non è generalizzabile.
Ma soprattutto, non si deve sottovalutare la sfida. Stagnazione prolungata, cambiamenti culturali e fallimenti politici stanno alterando l’equilibrio tra legittimità democratica e ordine mondiale. La candidatura di Trump alle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti ne è un effetto. Quelli che respingono le risposte chauviniste devono farsi avanti con idee ambiziose e proposte creative miranti a ristabilire quest’equilibrio. Non sarà facile. Ma non possiamo rassegnarci al fallimento. E’ in gioco la nostra stessa civiltà.
(traduzione di Mario Baccianini)
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