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Sotto la spinta della globalizzazione, della rivoluzione digitale e a seguito della riemersione del populismo, oggi si assiste similmente all’ennesima messa in liquidazione di destra e sinistra. E per quanto talvolta questa liquidazione avvenga con argomenti fragili, il fatto che si produca ha una propria autonoma rilevanza storica e va preso molto seriamente. Perché ci dice non solo qualcosa sulle condizioni di salute di destra e sinistra, ma anche di quel regime politico, la democrazia rappresentativa di stampo liberale, costruita e istituita proprio su questa bistrattata dicotomia.
A patto, però, di non prendere per buone le dichiarazioni di morte di destra e sinistra pronunciate da due categorie di persone. La prima: anime inquiete di sinistra che, diventate di destra, invece di riconoscere di essere diventate di destra, dichiarano che la destra e la sinistra non esistono più. La seconda: politici in difficoltà che, non sapendo che pesci prendere e come collocarsi, annunciano che le tradizionali collocazioni storico-politiche non ci sono più.
Le critiche fondate sono altre ed effettivamente mostrano un affaticamento della diade destra/sinistra, che coincide con la fase di appannamento e contrazione che sta vivendo oggi nel mondo la democrazia liberale. Non c’è dubbio difatti che destra e sinistra, e i partiti che in Occidente articolano la loro dialettica, siano stati per lo più spiazzati dai rivolgimenti portati in dote dalla globalizzazione. Inizialmente essi hanno provato a fiancheggiare i cambiamenti prodotti. Quindi li hanno confusamente contrastati. Il loro profondo disorientamento, insieme alla grande crisi economica, ha costituito la base di riferimento culturale per la riemersione del populismo. Fenomeno che effettivamente riemerge dalle spelonche della storia tutte le volte che destra e sinistra attraversano crisi di rappresentatività delle istanze della società e di capacità di governo del mondo.
Chi critica destra e sinistra propone alternative gagliarde: populismo contro antipopulismo, apertura contro chiusura, sono le più gettonate. La prima è un cedimento culturale al populismo che, qualora si determinasse, garantirebbe al populismo una vittoria sicura e, forse, un lento smantellamento delle strutture della democrazia rappresentativa. La seconda è una bizzarra forma di determinismo storico, secondo la quale, l’apertura indiscriminata di tutti i meccanismi di funzione della società e dello Stato, regalerebbe all’umanità le magnifiche sorti e progressive. Nonostante si presenti come un’opzione liberale e liberista, è un’ipotesi che addita né più né meno a quel superamento della politica a cui, in ultima istanza, guardavano Marx e alcuni marxisti.
Eppure destra e sinistra resistono. Nonostante le forme un po’ sgangherate e in via di definizione culturale nelle quali si presentano, tutti i grandi Paesi del mondo hanno oggi governi di centrodestra o di centrosinistra. In America c’è Trump, fenomeno originale ma intimamente di destra, contro il quale si va organizzando una confusa, e tuttavia montante, alternativa di sinistra. In Germania i due partiti tradizionali sono in affanno, ma il centrodestra continua a governare il paese e, a sinistra, a un indebolimento dei socialdemocratici corrisponde un rafforzamento dei Verdi. A dimostrazione che la sinistra non muore affatto. Semplicemente, come è accaduto mille volte in passato, si trasforma.
Nel Regno Unito la partita della Brexit attraversa conservatori e laburisti e li lacera al loro interno. Ma non determina alcun indebolimento della dialettica destra/sinistra. Anzi. I partiti che nel recente passato l’avevano diversamente messa in discussione, i liberaldemocratici o i populisti di Farage, sono in crisi, e Tory e Labour sono invece in ottima salute. Certo, sono più che mai grandi moduli aggregativi di istanze diverse. Ma dopo tutto, destra e sinistra sono proprio categorie compositive, che si sforzano di tenere unite cose diverse.
La Spagna ha un governo nazionale di centrosinistra, contro il quale i partiti di centrodestra, Ciudadanos in primis, organizzano l’alternativa. Provando per altro a inglobare i movimenti più estremisti come Vox attraverso esperimenti di governo locale. In Francia la crisi drammatica della leadership di Macron, che aveva provato a superare destra e sinistra, non fa che confermare che, malconce quanto si vuole, destra e sinistra sopravvivono e lottano insieme a noi.
L’Italia, che rappresenta la vera (ma anche solita) anomalia occidentale, avendo combinato al governo forme diverse di populismo, non sta tuttavia negando la persistenza della formula destra/sinistra. E la presenza di movimenti fascisti di estrema destra che malmenano i giornalisti e negano l’esercizio di critica della libera stampa, ancorché sia un segnale inquietante, sta lì a dimostrare che non solo esistono ancora destra e sinistra. Ma che pure la diade fascismo/antifascismo non accenna a sparire dal nostro Paese, in favore di una comune e generalizzata adesione ai valori antifascisti e costituzionali.
Insomma, uno sguardo al mondo, anche superficiale, ci dice che destra e sinistra sono tutt’altro che sparite. Per giunta, stando ai sondaggi, le elezioni europee dovrebbero confermare che nel continente le spinte dell’estremismo populista sono stabili o in calo, determinando equilibri politici nelle nuove istituzioni in sostanziale continuità con gli attuali. Se il populismo è un fiume carsico, potremmo ritrovarci, dopo le elezioni di fine maggio, ad assistere alla lenta re-immersione nelle spelonche della terra del fiume populista. E al conseguente avvio di una fase nuova della dialettica tra destra e sinistra.
L’errore più grande di chi dà per morte entrambe (anche se sempre un po’ più morta la sinistra, della destra…) è la confusione tra mezzi e fini. Ci si ostina a proporre definizioni di destra e sinistra sulla base di lunghi elenchi di proposte politiche. Esempio. Liberalizzare è di destra o di sinistra? Semplice: né l’uno, né l’altro. Sia governi di destra che governi di sinistra hanno perseguito, ieri, politiche di liberalizzazione e continuano, oggi, a farlo in tutto il mondo. Ciò che li definisce come tali, governi “di destra” o “di sinistra”, non sono le singole scelte politiche, ma le premesse ideali che la ispirano e gli obiettivi di governo che s’intendono ottenere attraverso il perseguimento di quelle scelte.
Altro esempio: il governo dei flussi migratori. La discriminate tra destra e sinistra non si pone sulla scelta di regolare o meno il fenomeno. Ma sugli ideali umanitari che guidano la regolazione e sugli obiettivi di evoluzione dei cambiamenti della società italiana e di quella europea, già in corso da tempo. La democrazia liberale si è in passato giovata, nei suoi momenti migliori ed espansivi, della capacità di destra e sinistra di rappresentare bisogni, ideali e interessi. Un rilancio del soft power liberaldemocratico passa così proprio attraverso la riappropriazione di una funzione storica per la destra e per la sinistra.
Chi intende seriamente esiliare destra e sinistra dal dibattito pubblico, è chiamato a precisare come intende preservare il regime politico liberaldemocratico dopo aver negato il meccanismo di funzione destra/sinistra che ne rappresenta, da sempre, il fondamento. Perché, può piacere o meno, non si è mai vista in giro una democrazia liberale che possa fare a meno della destra, della sinistra e della loro relazione dialettica.