Orsi fuori dal letargo e uomini in quarantena: gli animali riconquistano i boschi del Trentino

di Francesca Sironi - foto di Alberto Gottardo   23 aprile 2020

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Al risveglio dal lungo riposo invernale, i plantigradi hanno avuto una sorpresa: pochissimi esseri umani, tanto cibo a disposizone. E i valligiani si dividono: bestie pericolose o possibile attrazione turistica estiva? (Foto di Alberto Gottardo)

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Il signor Remo Deni non ha da temere. Le sue arnie sono protette, recintate da un doppio filo elettrico attaccato alla corrente. Remo è stato uno dei primi apicoltori ad installare le protezioni rimborsate dalla Provincia, dopo essersi trovato davanti, una mattina, api in subbuglio e casse aperte per la visita notturna di un orso.

Le api di Cavedago, un paesino di 550 abitanti lungo la strada che affianca le piste da sci di Andalo, non sono insomma preoccupate dal risveglio degli orsi dopo il letargo, nel Trentino svuotato dal lockdown. Gli altri abitanti invece sì. Perché le malghe e i paesi del territorio hanno orizzonti larghi, certo, ma abituati a una frequentazione costante di escursionisti, comitive, agricoltori e residenti. Mentre ora, in quarantena, gli abitanti stanno scoprendo un ennesimo limite dell’Italia sospesa dal contagio: il virus rende più esplicito il problema del poter porre un confine fra selvatico e addomesticabile, fra dominio antropico e convivenza fra le specie.

Poche settimane di ritiro umano sono bastate infatti a trasformare la politica degli spazi pubblici di queste montagne: cervi e caprioli curiosano tranquilli nei parcheggi immobili degli alberghi; le strade asfaltate vengono sfruttate dagli animali per spostarsi di sera - come ha fatto un orsotto sul Garda filmato da un automobilista. Il confine è permeabile: chi è padrone della terra? Il Trentino è un buon avamposto per porsi la domanda: perché da vent’anni è alle prese con le scelte, mai semplici, che implica ogni tentativo di risposta concreta a questo interrogativo.

Claudio Groff è il coordinatore del dipartimento “Grandi carnivori” della provincia autonoma di Trento. Si occupa di lupi, orsi e linci da quando è ragazzo; da forestale ha fatto della convivenza fra uomini e animali selvatici la sua missione. Non è una missione facile. Perché qualunque scelta prenda per ridurre i rischi di questa convivenza, sulle Alpi, qualunque compromesso metta in campo fra benessere umano e animale, scontenta qualcuno. Il principe degli esempi è M49.
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Le saghe collettive pre-Covid sembrano ora sprofondate in una nebbia del passato, ma è difficile dimenticare “Papillon”, l’orso che nella notte fra il 14 e il 15 luglio scorso riuscì a scappare dal recinto del Casteller, in Trentino, un’Alcatraz della zootecnica con muri alti metri, filo spinato e cavi elettrificati, barriere, videocamere. Niente. M49, con i suoi quattro anni di muscoli e ciccia, riuscì a scappare, ancora più arrabbiato per l’arresto. Per mesi la sua fuga è stata seguita con palpitazione da migliaia di italiani su media e social network, dai consigli comunali ai ministeri, dai palchi ai bar.  Il tifo si è sempre mosso da spalti opposti: chi gridava “uccidetelo!” mostrando forche e fucili, chi sosteneva la potenza del suo salto libero e ribelle, arrivando a fare di Papillon un feticcio stampato su magliette e cuscini. In mezzo: Claudio Groff. 

«M49 è un orso problematico. Mostra troppa confidenza con gli umani. Sia il nostro comitato scientifico sia l’Istituto nazionale per la protezione dell’ambiente hanno concluso che è necessario catturarlo e tenerlo in cattività. È l’unica soluzione». Continua Groff: «In Trentino abbiamo oggi almeno 90 orsi. Sono animali meravigliosi. E schivi. Di solito evitano gli uomini in ogni modo. Della maggior parte di loro sappiamo che esistono, che fanno parte della straordinaria biodiversità di queste zone, ma non ci accorgiamo nemmeno della loro presenza».

Solo per tracciarli statisticamente in vista del rapporto annuale i tecnici della forestale devono scandagliare per giorni resti di cibo, orme nella neve, fototrappole nascoste fra i rami, prelievi di pelo dalle cortecce dove si sono grattati la schiena. Gli incontri sono rarissimi. «Poi ci sono gli orsi problematici, come M49», continua il coordinatore: «Una minoranza assoluta che da sola però scatena paure legittime fra gli abitanti, e quindi avversità contro tutta la popolazione di orsi. Per questo gli esemplari come lui vanno prima dissuasi e poi, se la dissuasione non basta, catturati». La “dissuasione” è un esercizio a cui i forestali ricorrono attraverso dei cani addestrati che intervengono allontanando i cuccioli troppo curiosi nei confronti dell’uomo.

Nelle zone montuose del Trentino tutto è diventato a poco a poco a misura d’orso: i cassonetti della spazzatura hanno un’armatura di legno e un tappo a vite – gli orsi possono strattonare e sbattere il bidone quanto vogliono, ma non riescono svitarla; il miele è cinturato da barriere, come per le arnie del signor Remo Dini; e i luoghi di passaggio più frequente sono segnalati ai residenti così che ne siano a conoscenza – il ritratto di Groff realizzato da Alberto Gottardo in queste pagine è stato scattato su uno di questi corridoi, il tof de l’ors. Il tof, o tovo, è una valletta stretta e ripida che veniva usata un tempo per far scivolare i tronchi a fondo valle. Vicino c’è un rifugio-ristorante affacciato sulle Dolomiti, ora chiuso. La proprietaria ha sentito qualche notte passare degli orsi solitari (sono animali individualisti). Ma non è preoccupata: «Ci evitano», dice: «Vanno per la loro strada». 

Poi, c’è M49. Che gli umani non li evita, anzi. Dopo la lunga fuga estiva è andato in letargo. Durante il letargo i 180 chili di grasso e pelo degli orsi entrano in riposo sotto coperte di foglie che servono loro a mantenersi al caldo; il cuore passa da 50 a 12 battiti al secondo. Vanno in risparmio energetico. Con la primavera i maschi si svegliano, e diventano inarrestabili. Cercano femmine e cibo. Si spostano continuamente, decine di chilometri a notte. «È la stagione in cui è più difficile prevedere i loro movimenti», spiega Groff. M49 si è alzato dalla tana ai primi di aprile e da allora spostandosi senza sosta ha frequentato pendii e malghe. È passato anche di fianco a una trappola, senza filarla. Un pastore ha pubblicato su L’Adige il video del suo casolare di montagna dopo il passaggio di Papillon: frigo aperto, pacchi di biscotti divelti, bottiglie per terra. «L’orso è un onnivoro opportunista», spiega Groff: «È intelligente. Divora quello che trova: miele, frutta, pecore, grano». A differenza dei lupi, che senza carne vanno in crisi, lui si arrangia con quello che trova.
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Sopra Terlago c’è un campo diventato meta frequente degli esemplari quieti della zona. Gli animali si avvicinano di notte a sgranocchiare pannocchie. Massimo Vettorazzi - un volontario che è appassionato d’orsi fin da quando, bambino, suo fratello gli regalò un libro di Fabio Osti - ci dà appuntamento sul sentiero. «Per me sapere che in questo bosco ci sono anche loro rende l’ambiente più completo, più vivo. Sentire che sono passati proprio in questo punto è un’emozione indescrivibile». Vettorazzi è qui per controllare i risultati di una fototrappola installata ai piedi di un albero, vicino a uno stagno dove spesso cervi e animali selvatici si fermano a bere.

Ed eccolo: la fotocamera automatica mostra il primo piano di un’orsa che si è fermata per uno zampiluvio la notte prima. «È così importante che ci siano. Non bisogna avere paura, ma sapere come comportarsi. Organizziamo delle serate di formazione proprio per insegnare come reagire in caso di incontro. I boschi sono nostri e loro. Dobbiamo convivere», riflette Vettorazzi: «E poi, aggiunge, ci concentriamo sugli orsi perché sono animali affascinanti, che fanno parte delle nostre leggende, della nostra cultura. Altri sono i veri rischi nel camminare nelle foreste: le zecche ad esempio sono molto più pericolose, e mortali. Ma non se ne parla». Una villetta su due piani costruita ai margini del campo ha blindato il giardino dietro filo elettrificato. 

Gli orsi catalizzano terrore e attrazione. Diventando facilmente simboli. A Spormaggiore c’è un museo dedicato a loro. Ha percorsi educativi, spiegazioni etologiche, tracce di storia culturale da Dino Buzzati a Teddy Bear. Vicino c’è anche uno zoo. Gli orsi scorrazzano liberi, a decine, in queste montagne. E in mezzo c’è uno zoo con alcune femmine in cattività. «Ma non andrebbe definito zoo. È un grande parco faunistico: abbiamo solo sei specie in sette ettari, che rispettano l’ambiente nativo», puntualizza Andrea Marcolla, il presidente della cooperativa che gestisce il centro: «Gli animali hanno la loro privacy, possono nascondersi dietro delle paratie installate apposta. L’anno scorso abbiamo avuto 50mila visitatori. Soprattutto scolaresche».

Dietro una palizzata si sentono mugolare dei cuccioli di lupo. Le orse stanno nel fogliame, vicino a un torrente. La loro area è recintata da sbarre di metallo alte, verdi, con fili elettrici segnalati da cartelli. Dentro il recinto, vicino al confine, anche gli alberi sono circondati da uno steccato: per impedire che gli animali si arrampichino e possano scappare. Oltre alla barricata di ferro, all’esterno, scorrono anche pannelli di rete metallica. In un angolo la rete è divelta. È capitato che, di notte, degli orsi maschi liberi si intrufolino dentro lo zoo, scavalchino ogni steccato, a vadano a coprire le femmine. Per poi fuggire. Loro, le orse cresciute in cattività, sterilizzate, non li seguono. Restano lì.

Il parco è dedicato all’ultimo orso autoctono del Trentino, morto qui nel 1992. All’inizio degli anni ‘90 un sondaggio fra la popolazione mostrava che la stragrande maggioranza degli abitanti era favorevole alla reintroduzione degli orsi, per mantenere e arricchire la biodiversità tradizionale della zona. Quella reintroduzione è avvenuta, grazie a un piano condiviso fra provincia e Ue, con la collaborazione della Slovenia. Poi gli orsi “importati” si sono trovati bene nei boschi trentini, hanno iniziato a riprodursi, a muoversi, e alcuni esemplari hanno preso a fare danni. Razzie che spaventano, anche se vengono subito indennizzate al cento per cento, con fondi comunitari.

Nel 2019 sono stati accertati 228 danni da orso e 46 da alcuni dei tredici branchi di lupi che girano per le montagne, come mostra l’ultimo rapporto del settore “Grandi Carnivori”. In totale sono stati liquidati 190mila euro di rimborsi. M49 da solo ha causato il trenta per cento dei guai. Un sondaggio più recente ha mostrato che la popolazione (umana) dei residenti è diventata ora in larga parte contraria alla presenza selvatica. Bisogna conciliare, gestire il conflitto. Fra le due parti, la versione dell’orso manca sempre. «Ma le paure sono legittime», conclude Groff. Vicino a un meleto due asini brucano su un pendio. C’è una recinzione lungo la sterrata. Ed è difficile capire se serve a chi è dentro o a chi è fuori dal prato.