Contro l'ondata di licenziamenti provocati dal coronavirus, arriva una pioggia di sussidi statali e federali. Aiuti pubblici che stanno facendo cambiare lo storico approccio americano super individualista
Il giorno in cui Simon Clark si è ritrovato con 600 dollari in più del previsto sul conto in banca, quasi non ci poteva credere. «Sono uscito e ho rifatto l’accesso al mio account, perché credevo fosse un errore», dice. I soldi in più, però, erano ancora lì. «Così ho chiamato il mio commercialista e lui mi ha confermato che era giusto così, quei soldi erano davvero miei! E soprattutto mi sarebbero arrivati anche la settimana dopo».
Come molti americani, Simon è stato licenziato a inizio aprile dalla sua azienda, di base a New York, a causa della crisi coronavirus. È stato sfortunato perché aveva appena ottenuto una promozione. Ma, nella cattiva sorte, gli è andata bene. È infatti tra quelli che percepiranno una sorta di “reddito di cittadinanza” varato con una misura economica d’emergenza che ci si potrebbe forse attendere da un Paese europeo, non dagli Stati Uniti così allergici alle influenze dello Stato centrale: 600 dollari a settimana, un extra garantito dal governo federale che si deve aggiungere al bonifico di disoccupazione già elargito dai singoli Stati. Un tesoretto che in tutto vale 2.400 dollari al mese e finirà nei conti correnti di tutti quegli americani che hanno il diritto alla disoccupazione, perché licenziati o messi in condizione di “furlough”, una forma di congedo temporaneo da parte dell’azienda molto utilizzata negli Usa.
Per fare un esempio pratico, come spiegato da un articolo del New York Times a metà aprile: un lavoratore medio che guadagna 1.100 dollari a settimana a New York, se licenziato o messo in “furlough” a causa della crisi Covid, avrà diritto a un sussidio di disoccupazione da parte dello Stato di massimo 504 dollari a settimana. A questi però si aggiunge quell’extra del governo federale che ha sorpreso Simon, che porta il totale dell’indennità post-coronavirus a 1,104 dollari a settimana. Pareggiando, di fatto, lo stipendio originale: «Non dico che stia guadagnando di più ora, perché i benefit facevano la differenza, ma quasi: riesco a pagare l’affitto e sto bene», spiega Simon.
La misura durerà fino a fine luglio e coinvolge anche i lavoratori part time. È un provvedimento successivo al Cares Act, approvato da Senato e Camera e diventato legge lo scorso 27 marzo. Si somma all’assegno una-tantum da 1.200 dollari, destinato agli americani che guadagnano meno di 75 mila dollari all’anno. E rende chiaro un concetto: nel momento della crisi più profonda, con decine di milioni di persone senza lavoro in meno di un mese, gli Stati Uniti si sono risvegliati tutto a un tratto un po’ più desiderosi di assistenzialismo statale, considerato per decenni una pericolosa anticamera del socialismo.
Anche se certo, i problemi logistici non mancano. Perché l’approvazione del Cares Act ha inserito anche i lavoratori della gig economy e gli autonomi tra coloro che possono fare richiesta di disoccupazione ai loro rispettivi Stati e che quindi possono sperare di ricevere l’extra federale da 600 dollari. Due categorie che prima erano state escluse da questi sussidi e che ora hanno rimescolato le carte, con gli Stati che stanno cercando di capire come riorganizzarsi: «Il mercato del lavoro è stato rovesciato nel giro di settimane», ha detto Heidi Shierholz, direttrice dell’Economic Policy Institute, che ha aggiunto: «Siamo in un territorio nuovo». Del resto, non ci si può riscoprire socialisti in un giorno, dopo due secoli e mezzo di individualismo.