Era l’estate del 1981 ed io muovevo i primi passi nel mio percorso di giornalista a Canale 5. Il mio direttore dell’epoca, Vittorio Buttafava, mi chiese di fare un’inchiesta sul reparto di Oncologia Pediatrica alla Clinica Mangiagalli di Milano. Mi avvicinavo per la prima volta a una delle tragedie più terribili che possano colpire una famiglia: un figlio in giovanissima età che si ammala di tumore. Passai una settimana in quel reparto documentando le cure, l’impegno e la dedizione totale dei sanitari, ma anche il dolore dei piccoli malati e la disperazione e l’amore dei loro genitori.
C’era una domanda che tutti si ponevano: perché? Perché tanta innocenza violata da una malattia che allora concedeva poche possibilità di guarigione? Oggi la medicina ha fatto progressi enormi. Ve li testimoniamo nel viaggio intrapreso da Roberta Grima che documenta però come ci siano ancora troppi divari in Italia, fra regione e regione, tra Sud e Nord, tra isole di eccellenza e presidi ospedalieri rimasti inadeguati o addirittura in dismissione. Con due note di ottimismo: i dati delle guarigioni, che ormai rappresentano l’80 per cento, e l’impegno del volontariato sociale che tappa le falle del sistema.
Tanti anni fa fu per me difficile, quasi impossibile mantenere il distacco professionale richiesto al giornalista e le emozioni di quei giorni sono rimaste sempre vive in me. Sono le stesse che ho rivissuto leggendo l’inchiesta che trovate in questo numero, dalla quale emerge irrisolto il nodo della penuria di reparti dedicati ai minori, con la conseguenza che in alcuni casi i piccoli ricoverati condividono il reparto con gli adulti. Confermata purtroppo anche la penuria di risorse da dedicare al supporto psicologico a pazienti e famiglie, mentre le case farmaceutiche mostrano ancora troppo poco interesse a sviluppare nuove terapie per i tumori infantili che fortunatamente riguardano solo l’1 per cento dei casi in Italia, un mercato poco vantaggioso dal punto di vista economico.
Affrontare un tumore infantile all'interno di una famiglia comporta un carico immenso di difficoltà e dolori. In primo luogo la diagnosi stessa è devastante: genitori e familiari si trovano catapultati in un incubo, avvolti da sentimenti di impotenza, paura e ansia. Il dolore emotivo è palpabile, non solo per il bambino che sta lottando contro la malattia, ma anche per i genitori che devono affrontare la possibilità di perdere il loro figlio.
Le difficoltà pratiche sono altrettanto gravose. Le visite regolari in ospedale, le terapie e le operazioni richiedono un impegno di tempo e risorse finanziarie significative. I genitori spesso devono ridurre o interrompere il lavoro, con conseguenze economiche che possono gravare sul bilancio familiare. A livello psicologico, il trauma della malattia influisce sulle relazioni familiari. La paura dell’ignoto, unita alla precarietà della salute del bambino, genera ansia e stress prolungati.
Il supporto da parte di amici e altri familiari diventa essenziale, ma spesso è difficile trovare le parole giuste per confortare. In questa tempesta emotiva, l'importanza dell’amore e della resilienza familiare emerge come una luce di speranza, ma il percorso rimane incredibilmente arduo e complesso.