A commento di Barcellona-Real Sociedad, partita di campionato spagnolo giocata domenica 12 dicembre e stravinta dai catalani 5-0, la "Gazzetta dello sport" notava una vasta presenza di tifosi italiani sulle tribune del Camp Nou. Tifosi di che? Forse dei blaugrana. O forse, semplicemente, di calcio ben giocato, spettacolare e interpretato dai tre tenori finalisti del Pallone d'Oro 2010, cioè Messi, Iniesta e Xavi. Il quotidiano sportivo più venduto in Italia sta per lanciare un inserto settimanale (debutto previsto in gennaio) dedicato in esclusiva ai tornei di Spagna, Inghilterra, Germania e Francia, con un occhio di riguardo a Brasile, Argentina e Russia, dove il campionato si è appena chiuso con la vittoria dello Zenit San Pietroburgo allenato da Luciano Spalletti, finanziato da Gazprom e sostenuto da un tal Vladimir Putin.
Nello stesso modo in cui l'Italia scende nel ranking Uefa e dal 2012-2013 avrà solo tre squadre in Champions League, l'appeal della serie A rischia la retrocessione in B. I primi a fiutare l'andazzo sono stati i network. Sky e Mediaset non sono mai state così ferocemente in guerra fra loro come è accaduto qualche giorno fa, quando la tv di Rupert Murdoch si è aggiudicata le partite della Champions 2012-2015 per 130 milioni di euro contro i 100 proposti dalle tv della Fininvest. Un micidiale comunicato di Fedele Confalonieri ha annunciato il ricorso di Mediaset contro Sky per abuso di posizione dominante. "Il valore offerto", si legge nell'ennesimo bollettino bellico stilato da Cologno Monzese contro lo Squalo Rupert, "è infatti al di fuori di ogni logica economica e motivato esclusivamente dalla volontà di eliminare qualunque tipo di concorrenza. E privare i telespettatori della scelta di quale offerta in pay-tv guardare".

Non è solo un fatto di stelle del pallone in fuga dall'Italia. È chiaro che i brocchi non mancano né in Spagna né in Inghilterra. È una questione di attrattiva. Il calcio italiano, per un consumatore straniero, sa di vecchio. Brutti stadi, brutti campi, gioco forse efficace ma bello non di certo. Viceversa il consumatore italiano, che pure non molla i colori del suo club, si concede parecchie scappatelle al di fuori del sacro vincolo del tifo. Un esempio su tutti è Barcellona-Real Madrid del 29 novembre, ossia Leo Messi contro Cristiano Ronaldo ossia Pep Guardiola contro Josè Mourinho ossia 5-0 per i catalani. L'eccesso di contatti sul Web ha reso praticamente impossibile collegarsi allo streaming attraverso siti pirata come Rojadirecta. I dati di ascolto Sky Italia hanno fatto segnare il record assoluto con 1.317.595 spettatori complessivi (4,2 per cento di share). Esattamente un anno fa, il 29 novembre 2009, Barcellona-Real Madrid aveva avuto un ascolto di 711.600 spettatori (3 per cento di share). Il dato di Barcellona-Real è superiore a quello delle ultime due finali di Champions League senza squadre italiane in campo, vale a dire Barcellona-Manchester United del 27 maggio 2009 (1.174.419 spettatori medi) e Manchester Utd-Chelsea del 21 maggio 2008 (978 mila spettatori medi).
La crescita è confermata dai primi dati 2010-2011. Gli spettatori della Liga aumentano del 41 per cento rispetto all'anno scorso. La Premier League resta il campionato straniero più visto con punte di spettatori che superano i 700 mila e una crescita media del 44 per cento in confronto al 2009-2010. L'esterofilia è così diffusa che ormai anche un piccolo network in chiaro come Sportitalia, di Tarak ben Ammar, riesce a strappare buoni ascolti grazie ai match del campionato argentino, del Brasileirão, il campionato federale brasiliano, e dei maggiori tornei statali (Paulistão e Carioca).
Il boom del calcio estero ha una serie di effetti collaterali negativi sul sistema. Il più trascurato, e il più devastante, è che nessuno guarda più la serie B, condannata a non avere le risorse della tv. Neppure la Coppa Italia vuole saperne di resuscitare e la stessa Europa League, l'ex Coppa Uefa su cui aveva puntato il digitale terrestre di Mediaset, si è rivelata prima un mezzo fallimento e poi un flop a tutto tondo, grazie agli scarsi risultati dei club italiani.
Ci si può sempre consolare con la teoria dell'arretratezza vincente. Come ai tempi della crisi bancaria, l'Italia è stata meno toccata perché era troppo indietro rispetto all'evoluzione finanziaria degli altri Paesi, così accadrà con la rovina prossima ventura del calcio in Spagna o in Inghilterra. Non che il modello italiano sia oculato e sano come quello tedesco. È che, rispetto alle follie di Liga spagnola e Premiership, perfino la serie A potrebbe quasi passare per virtuosa. A giugno Joan Laporta ha dovuto lasciare la presidenza del Barcellona in favore del suo nemico storico Sandro Rosell dopo avere caricato i conti del club di 442 milioni di euro di debiti. E a luglio il Barça ha dovuto chiedere 150 milioni di euro in prestito alle banche perché non riusciva a pagare gli stipendi. Come il Bologna o il Catanzaro. Qualche giorno fa è caduto l'ultimo tabù. I giocatori blaugrana avranno uno sponsor commerciale sulle magliette. Mai successo prima. Solo l'Unicef aveva diritto di apparire, per beneficenza. Dal 2011-2012, accanto all'agenzia per l'infanzia dell'Onu, ci sarà dunque il marchio della Qatar Foundation di Shaykh Hamad bin Khalifa al Thani, l'organizzatore dei mondiali di calcio del 2022. Il contratto è da record mondiale: 30 milioni di euro all'anno per cinque anni. Appena quanto basta per pagare lo stipendio a Messi e a Villa.