Attualità
agosto, 2010

Sulla Riviera romagnola ora i lavoratori denunciano di più

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Parla Massimiliano Chieppa, direttore del servizio ispettivo del Dipartimento del lavoro di Rimini: nella costa delle vacanze le condizioni di impiego irregolare non sono un eccezione, ma un cancro diffuso. Per ragioni economiche e culturali

"Il lavoro irregolare è un cancro diffuso. Il gruppo alberghiero dei Coppola ora è sotto esame, ma dietro di loro si nasconde un malcostume endemico, legato purtroppo anche a un fattore culturale di questa zona. Il 70-80 per cento delle attività che controlliamo ha infatti delle irregolarità". Così Massimiliano Chieppa, direttore del servizio ispettivo del Dipartimento provinciale del lavoro di Rimini, commenta le ragioni delle proteste dei lavoratori stagionali della Riviera. I casi degli hotel Mosè di Torre Pedrera, del Maracaibo di Rivazzurra o del K2 di Cesenatico, secondo Chieppa, finiscono per essere un capro espiatorio. Additati come l'eccezione dagli altri operatori all'interno di un panorama che si vorrebbe lindo e immacolato.

Dottor Chieppa, gli ispettori del lavoro in provincia di Rimini sono sufficienti? E come operano?
Fino al 2006 la situazione era tragica, eravamo 5 o 6, assolutamente insufficienti per le oltre 4.000 attività della provincia da controllare. Poi, in seguito a concorsi sono state effettuate numerose assunzioni. Ora siamo 26, compreso il nucleo ispettivo che fa capo ai Carabinieri. Diciamo che ci attiviamo in due modi: su segnalazione da parte dei lavoratori oppure di nostra iniziativa, nei confronti di aziende che già abbiamo nel mirino per i loro precedenti.

I risultati?
Fino all'80 per cento delle imprese che visitiamo mostrano irregolarità. È un dato allarmante. Va precisato però che agiamo su segnalazione o su realtà che già ci sono note.

Quello che è successo negli hotel del gruppo Coppola secondo lei fa parte davvero di pochi casi isolati?
No, è un cancro diffuso. Ora si prendono di mira i Coppola ma sono come un capro espiatorio dietro il quale si nasconono tutti gli altri. Non sono un'eccezione. Quest'anno però abbiamo notato un mutamento nelle denunce da parte dei lavoratori.

Sono di più?

Di solito la maggior parte delle denunce arriva all'inizio della stagione e del rapporto di lavoro, oppure alla fine, quando, una volta risolto il rapporto, il lavoratore pensa che siano stati violati i suoi diritti e per questo decide di denunciare. Quest'anno invece a luglio c'è stata una impennata del 50%. Erano 106 da giugno a fine agosto nel 2009. Quest'anno sono 156. In parte è dovuto al fatto che c'è più urgenza di avere i soldi subito, il fatto di liquidare tutti gli stipendi a fine stagione è comune. Dall'altra, probabilmente, il datore di lavoro fa capire che quest'anno pagherà poco, se pagherà.

E i motivi di denuncia più frequenti quali sono?

Soprattutto i prospetti paga non corrispondenti alla realtà, cioè viene denunciata una cifra più bassa di quella che il lavoratore effettivamente percepisce, per pagare meno contributi. Il resto viene passato fuori busta, in nero. Poi c'è il fenomeno della retrodatazione. Il lavoratore comincia a lavorare ma viene assunto magari 15 giorni dopo. Anche qui il resto è tutto in nero. I giorni di mancato riposo e l'orario, anche se sono i casi più difficili da ricostruire perché ci dobbiamo basare sulle testimonianze dei dipendenti. Noi non abbiamo il potere di mettere mano ai cassetti del datore di lavoro per verificare se esista un registro delle paghe in nero.

E le realtà più problematiche?

Le riscontriamo negli hotel a di fascia media, i tre stelle. È difficile che una grande struttura faccia del nero spicciolo. Di solito i grandi hotel utilizzano agenzie di somministrazione del lavoro con contratti meno onerosi. Abbiamo assunzioni per esempio per facchini e poi li mettono a fare i camerieri o i cuochi. In questi casi per noi intervenire è più difficile perché le procedure sono più lunghe. Infatti preferiamo concentrarci su realtà più piccole dove i lavoratori sono direttamente dipendenti dell'hotel.

Sono poche secondo lei queste denunce?

Quando interveniamo sul posto di lavoro, di solito, il primo "avversario" è proprio il dipendente, che spesso dichiara il falso. Un po' per paura di perdere il posto, un po' perché a loro sta bene lavorare a certe condizioni. Soprattutto i lavoratori immigrati per quanto riguarda le condizioni di alloggio, orario e stipendio. In genere capiamo se qualcuno mente. Però agiamo con armi spuntate. I controlli risolvono solo parte della questione, è una catena che non si spezza così.

Mancano gli strumenti o le sanzioni sono troppo basse?

Le sanzioni sono state inasprite con la legge Bersani nel 2007. Ci sono multe salate per chi ha dipendenti in nero, compresa la sospensione dell'attività. Poi la maxisanzione, sempre del decreto Bersani: 3.000 euro di multa più per ogni lavoratore non in regola e 150 euro per ogni giorno di lavoro in nero. È un deterrente valido.

E allora, perché questa situazione?

In parte è una questione culturale, in parte economica. In Romagna la mentalità è rimasta quella della conduzione famigliare, con certi ritmi stagionali. Sia da parte del datore di lavoro che del dipendente che accetta certe condizioni. Dall'altra c'è il fenomeno degli hotel in affitto, che impone di fare utili.

Rimini è peggio del resto d'Italia?

Non oso fare confronti senza i numeri alla mano. Però la situazione qui si avvicina molto alle problematiche tipiche nel Sud Italia, realtà che conosco bene perché sono originario della Puglia. Ho conosciuto ragazzi venuti qui dal Mezzogiorno che speravano di trovare condizioni diverse di lavoro e di tutela e invece mi dicono delusi che qui "è peggio di giù". 'Il salto culturale, dagli anni '60 in poi, qui non c'è stato.

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