I boss hanno fiumi di denaro: abbastanza per approfittare della recessione e fare shopping in Borsa. Comprandosi perfino le banche. La denuncia del procuratore nazionale Pietro Grasso

Sono gli unici a cui la crisi piace. Gli permette di fare ottimi affari e li rende sempre più potenti. Per i boss della criminalità organizzata questa stagione di recessione è un Eldorado. Perché soltanto loro in Italia hanno fiumi di denaro da investire: cash, a tasso zero, che continuano ad aumentare. La lettura di "Soldi sporchi", il volume realizzato dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso e dal giornalista di "Repubblica" Enrico Bellavia, trasmette un senso di vertigine: centinaia di storie vere di capitali accumulati e seminati in tutte le attività del Paese; una folla di prestanome e professionisti pronta a collaborare con la malavita. È una mappa del contagio che si estende con la velocità del Web e la scaltrezza dei padrini, infettando ogni settore: supermarket, ristoranti, cantieri, fabbriche, finanziarie, banche. Il sottotitolo è esplicito: "Come le mafie riciclano miliardi e inquinano l'economia mondiale". Grasso, giudice dello storico maxiprocesso e poi procuratore di Palermo, è altrettanto diretto: "I numeri li fornisce Bankitalia: ogni giorno l'industria del riciclaggio ripulisce 410 milioni di euro. È il fatturato di un'economia sommersa che vale almeno il 10 per cento del Pil e dove le cosche hanno un ruolo chiave. Ma tutto questa ricchezza sottratta all'Erario frena lo sviluppo del Paese e distrugge l'equità fiscale, un valore oggi sempre più sentito dai cittadini".


Voi raccontate come i soldi sporchi dei mafiosi e quelli "grigi" dell'evasione finiscano negli stessi canali di riciclaggio. Quanto è diffusa la contaminazione tra i due fiumi?

"Il problema è che in Italia e anche in molti paesi esteri i capitali dell'evasione e persino quelli delle tangenti vengono in qualche maniera tollerati. Mentre decine di inchieste mostrano che i percorsi sono gli stessi: esistono delle vere camere di compensazione in cui i fondi dei clan e quelli degli evasori si mescolano".


Voi evidenziate come dai professionisti della finanza - commercialisti, notai, broker - vengano segnalate pochissime operazioni sospette: come se i soldi che maneggiano non avessero mai odore...

"Questo è un dato di fatto. Ma il meccanismo che obbliga banche e operatori finanziari a segnalare le transazioni sospette ormai ha perso molta della sua efficacia per la lotta al riciclaggio mafioso. Ci sono troppe segnalazioni: ne arrivano 37 mila che raramente si trasformano in indagini penali decisive contro la criminalità organizzata. Oggi i boss vanno in una banca solo se possono contare su complicità interne che chiuderanno gli occhi. Altrimenti si rivolgono ai tradizionali spalloni che trasportano fisicamente il denaro: anche questi corrieri si sono modernizzati, sono diventati società di broker che trasferiscono denaro dall'estero verso filiali italiane. Oppure usano garanzie bancarie che permettono poi di trasmettere i fondi altrove: viene certificata la disponibilità di soldi all'estero e su quella base si concedono mutui in Italia".


Ma se le segnalazioni delle operazioni sospette servono a poco, come si fa a combattere questa fusione di nuove tecnologie e vecchie furbizie?

"Bisogna individuare le grandi masse finanziarie del riciclaggio e adesso ci sono software di analisi che possono incrociare le informazioni di banche dati differenti per fornire la pista dei soldi sporchi. Le Fiamme Gialle ne hanno creato uno, chiamato Molecola, molto efficace".


Lei descrive una mafia.2 che ha imparato a sfruttare al meglio ogni opportunità.
"Prendiamo il boom del gioco telematico, che in Italia è aumentato del 266 per cento in un anno: per loro è un'occasione favolosa. Tra i 72 miliardi di euro che saranno puntati quest'anno ci sono molti capitali d'origine criminale. Noi stiamo verificando come le scommesse clandestine tradizionalmente dominate dai clan stiano scomparendo: non ce n'è più perché è entrato tutto in un mondo apparentemente legale. Il gioco è sempre è stato utilizzato per ripulire i soldi. Ricordo un vecchio mafioso che vinceva spesso alla Sisal di una volta. Dicevano: "È bravo e fa sempre tredici". In realtà lui comprava le schedine che avevano vinto e così giustificava gli incassi delle sue attività illegali. Adesso si può puntare su server che sono all'estero e sfuggono ai controlli".


Lo Scudo fiscale ha permesso di far rientrare in Italia capitali sospetti, anche se sono state notificate pochissime operazioni con ombre di mafia.

"Secondo me le mafie non si fidano dello Scudo: è una procedura che impone comunque di dichiarare i capitali. Loro si chiedono: "Perché lo debbo dire?". Da quello che sappiamo, non ne hanno bisogno: hanno metodi più sicuri".


Ma oggi qual è l'investimento che i mafiosi preferiscono?


"Tutto ciò che crea liquidità: sanno che soprattutto in questo momento di crisi il denaro cash è potere. Penso che la grande distribuzione dia questa liquidità, come i ristoranti e i bar perché lì girano molti contanti. Ma noi non escludiamo che ci siano investimenti sotto il profilo di acquisto di grossi gruppi o in Borsa: è una tentazione sempre più forte. Il crollo dei listini gli offre la possibilità di prendere il controllo delle società che gli interessano investendo pochissimo".


E quali sono i settori che fanno gola?

"Possono gestire fondi d'investimento, dove si riesce a mescolare tutti i soldi di diverse provenienze. E anche le finanziarie che si occupano di credito al consumo anticipando soldi con una forma di usura mascherata. I boss cercano di rastrellare le quote di maggioranza per poi prenderne la gestione".


Nel libro scrivete che ormai alcuni clan hanno tanta liquidità da volere mettere le mani sulle banche: ci sarà un'invasione di nuovi Michele Sindona?

"Lo vediamo sempre di più. Oggi ci sono molti piccoli istituti in crisi: il mafioso si offre di aiutare ma poi piano piano prendere in mano la situazione. La banca resta un simulacro mentre sono i padroni del capitale a dominare. Abbiamo condotto un'inchiesta su un istituto di San Marino dove i dirigenti in difficoltà hanno cominciato ad accettare milioni di euro da un boss calabrese. Un correntista a cui poi non si può dire di no".


Di fronte a un'emergenza così insidiosa, quali possono essere gli strumenti di contrasto?

"Anzitutto anche in Italia bisogna introdurre il reato di auto-riciclaggio: contrariamente agli altri paesi occidentali, da noi si può perseguire solo chi pulisce i soldi di altri, non chi opera per muovere i capitali che ha accumulato violando la legge. Bisogna poi ampliare l'applicazione della norma che punisce i prestanome, le figure fondamentali che permettono gli investimenti: adesso ci sono persino i presta-conto, che mettono i loro depositi bancari a disposizione dei criminali".


E sul fronte della collaborazione internazionale cosa si può fare?


"Il parlamento, appena risolti i problemi più gravi del momento, dovrebbe ratificare le direttive e le convenzioni europee senza le quali ci troviamo in difficoltà. Ci vorrebbero leggi omogenee per sequestri e confische anche all'estero, in maniera che non si creino stati-rifugio. Ma la cosa che manca è una lotta seria ai paradisi fiscali: penso a misure drastiche come l'embargo o il boicottaggio dei luoghi dove il denaro scompare. Posti come Nauru, un atollo minuscolo che serve solo a cancellare le tracce. Ma anche in Europa ci sono paesi che devono fare di più. San Marino e il Vaticano si sono dati una legge antiriciclaggio solo da pochissimo. E in Lussemburgo se uno apre il conto, ottiene dalla banca di essere avvisato se vengono chieste informazioni dall'esterno: così i soldi possono volare via. Loro ci mettono pochi minuti, a me serve moltissimo tempo e spesso mi rispondono pure in ritardo". n

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