La richiesta va rinnovata ogni due mesi e non è detto che sarà accettata. I poliziotti "aggregati" a L'Aquila vanno avanti così da tre anni e mezzo per poter lavorare vicino a casa e stare con la propria famiglia, magari per assistere un genitore malato. Una precarietà nella precarietà del post terremoto. Erano 80 fino all'inizio del 2012, una metà di loro sono già tornati alla sede di appartenenza. Con la garanzia dell'anonimato, alcuni di loro hanno accettato di raccontare la propria storia.
Alessandro (i nomi sono di fantasia) era già aggregato a L'Aquila da un mese prima del terremoto. "Ero lì per assistere mia madre e mio fratello, quando è arrivata la scossa. Nel terremoto ho perso una nonna, la casa dove dormiva è crollata. Ho passato sei mesi in tenda assieme alla mia famiglia, e intanto lavoravo. Noi aggregati siamo stati utilizzati per diverse mansioni, spostati all'occorrenza. Una situazione stressante, ho perso otto chili solo nei primi dieci giorni. La casa dove stavamo è stata classificata "E", inagibile, mentre l'altra, è distrutta". Come gli altri attende il rinnovo della aggregazione, a novembre: "Fino a un anno fa la domanda di aggregazione doveva essere fatta mese per mese, poi una ogni 60 giorni. Tutto questo dà un senso di precarietà, problemi che si sommano a quelli che già ci sono e che riguardano la salute prima di tutto. Già c'erano gravi problemi prima che succedesse quello che è successo. Ora si sono aggravati. E poi la burocrazia della ricostruzione. Dobbiamo demolire case, finire i traslochi e certificazioni varie. Sappiamo che andremo via tutti noi aggregati a fine anno ma io voglio restare nella mia città per risolvere i miei problemi e costruirmi un futuro qui".
Quella di Giulia è una famiglia numerosa. Il 6 aprile 2009 era anche lei a L'Aquila ma non era di servizio. Era incinta del suo ultimo bambino, che ora ha tre anni: "Sono di servizio a Malpensa, prima del terremoto i miei tre figli vivevano con mio marito a L'Aquila perché io ho un alloggio in caserma e non ho la possibilità di tenerli con me". Giulia ha ripreso servizio qualche mese dopo il sisma, come aggregata. Una situazione difficile: "Siamo pochi per il lavoro che c'è da svolgere. Gli interventi sono aumentati. Se prima erano una media di uno o due per notte ad esempio, adesso sono quattro o cinque". Giulia ha chiesto il rinnovo dell'aggregazione ma da molto prima del terremoto attende di essere trasferita nella sua città: "Il trasferimento l'ho chiesto 14 anni fa ma ancora non l'ho ottenuto e quindi attendo il rinnovo dell'aggregazione, come sempre, ogni due mesi. Sperando che mi venga concesso. È come una spada di Damocle che ti pende sulla testa. Negli ultimi tre anni sono stata qui assieme ai miei figli. Per il più piccolo è una situazione 'normale' avermi qui. Sarebbe frustrante e difficile dover tornare ora".
"Io sono un soldato e quindi obbedisco agli ordini. Ma è molto impegnativo. Ogni volta che squilla il telefono sto sulle spine perché ho paura di ricevere brutte notizie da casa". Mauro è uno di quelli già rispediti negli uffici di appartenenza: "Avrei bisogno di tornare e stare con la mia famiglia, perché sia mio padre che mia madre hanno problemi di salute. Invece devo scendere quando posso e sono tanti chilometri". Alle preoccupazioni che riguardano famiglia e abitazione si aggiunge così anche quella economica: "Sono costretto a fare i conti bene per arrivare alla fine del mese e stare attento. Lo stipendio tra spostamenti e pagare una badante che si prenda cura dei miei se ne va tutto. E pensare che il vantaggio economico ci sarebbe anche per lo Stato nel tenere noi aggregati. Visto che prendiamo stipendio base senza alcuna indennità. Perché siamo noi che abbiamo chiesto di stare a casa nostra". Anche Mauro ha chiesto il trasferimento a L'Aquila, non da ieri: "Ho fatto richiesta 13 anni fa ma non solo. Ho richiesto anche l'articolo 55, quello che consente il trasferimento (una allocazione stabile, non un aggregazione ndr) per gravi motivi famigliari ma non ho ricevuto alcuna risposta". Così dopo quasi tre anni e mezzo ha dovuto far ritorno alla sua sede: "Ora hanno attivato un rientro graduale ma per molti di noi i problemi non si sono certo risolti. Stando a casa ti permette di gestire anche l'aspetto economico. Invece non ho nessuno a cui delegare per esempio i lavori di casa. Ma soprattutto desidero tornare per stare vicino a mio padre".