Fuori e dentro il carcere, a seconda dei casi. Quasi sempre alle dipendenze dei Comuni. Per sette euro e mezzo all'ora, con un tetto massimo di 5.000 euro l'anno. Dopo le prime sperimentazioni, parte il piano-Severino. E non mancano le polemiche

Sono andati a cucinare nelle tendopoli de L'Aquila dopo il terremoto, a spalare la neve quando la Capitale era imbiancata quest'inverno, a ripulire le aree archeologiche e, presto, arriveranno nelle zone colpite dal sisma in Emilia. Da almeno 10 anni i detenuti sono occupati nei lavori di pubblica utilità fuori dal carcere e dal prossimo 20 giugno questo impiego, fino ad ora una sperimentazione, diventerà prassi.

Anci, Ministero della Giustizia e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria stanno infatti per firmare un protocollo d'intesa che permetterà a ogni ufficio comunale di dare in gestione ai carcerati alcuni interventi. Un provvedimento che ha subito generato polemiche e non poche preoccupazioni, tra cui la questione sicurezza e quella economica.

Problematiche che, spiegano dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria, sono state prese in considerazione. I responsabili delle carceri selezioneranno infatti solo i detenuti che presentano requisiti come esiguità della pena ancora da scontare, godimento dell'articolo 21 (la non pericolosità) e con le competenze richieste. Inoltre, spiega Luigi Pagano vice capo del Dap, in questi anni di sperimentazione non c'è stata alcuna fuga da parte dei detenuti coinvolti nel lavoro esterno e la cittadinanza ha potuto iniziare a guardare diversamente i carcerati.

Gli stessi detenuti, oltre a poter abbandonare l'istituto circondariale, avranno un altro incentivo: potranno beneficiare di un pagamento per il lavoro svolto. Il salario sarà un voucher da circa 7,50 € per ogni ora di lavoro, fino a un massimo di 5.000 euro a detenuto l'anno. Non è previsto un contratto specifico ma il versamento di contributi e tasse e si sta anche pensando di trovare altri finanziamenti per il compenso; magari con il fondo sociale europeo.

Lo 'stipendio' fornito ai detenuti è un altro punto delicato dell'iniziativa. Vincenzo Lo Cascio, coordinatore nazionale dei lavori di pubblica utilità dei detenuti, stima tuttavia che le amministrazioni comunali potranno risparmiare fino all'80%: "anziché rivolgersi a ditte esterne in appalto il Comune potrà così dare da lavorare ai detenuti perché loro hanno il dovere, oltre che il bisogno di lavorare".

Eppure, il fatto che il protocollo venga firmato in questi mesi di crisi, in cui ditte, società e cooperative non riescono più a lavorare per il pubblico e, quando lo fanno, devono aspettare anni per il pagamento, non agevolerà l'accoglienza riservata a questa misura. "Laddove vi fossero, e ve ne saranno diverse, sacche di disoccupazione", spiega Luigi Pagano, "è chiaro che non dovremmo metterci in concorrenza. Lo spirito del progetto è infatti quello di essere in armonia con la cittadinanza e la società, non un motivo di tensione. Occorrerà individuare quei lavori che normalmente non vengono svolti".

In seguito alla dichiarazione della Severino di coinvolgere i detenuti accanto alla Protezione civile in Emilia, sono piovute poi critiche anche dal mondo politico. L'ex ministro Roberto Calderoli ha sentenziato che sarebbe meglio recuperare i militari italiani impegnati nelle missioni all'estero. Memoria corta la sua, visto che dell'iniziativa che sarà siglata il 20 giugno si iniziò a parlare proprio nel 2004, quando il Ministro della giustizia Castelli decise di aprire l'anno giudiziario facendo riferimento proprio a questo.

L'impiego dei detenuti non si limiterà tuttavia ai lavori in esterno. Il Commissario delegato al piano carceri nominato dalla Severino, il prefetto Angelo Sinesio, ha messo infatti a disposizione 2 milioni di euro per permettere agli stessi detenuti di produrre letti in ferro, comodini, armadi, lenzuola e coperte da usare all'interno delle carceri. Un lavoro vero e proprio, retribuito con la mercede, ovvero quel salvadanaio di cui può godere il detenuto una volta libero.

I carcerati coinvolti nella prima fase che parte in questi giorni saranno circa 200, selezionati sulla base delle loro competenze manifatturiere e alla valutazione che, anche qui, tocca ai magistrati del tribunale di sorveglianza e ai direttori del carcere.

Quegli 11mila posti previsti dal Piano Carceri del governo Monti dovranno essere coperti, per quel che riguarda suppellettili ed arredi, almeno al 50% dal lavoro dei detenuti stessi. Un'operazione risparmio ed un investimento sia per la sicurezza che per il sociale.

L'operazione "arredi e suppellettili" partirà con l'invio di letti in ferro all'istituto di Augusta, arredi in legno a quelli di Noto e Lecce, e lenzuola e asciugamani al carcere di Massa Carrara. L'iniziativa viaggerà in parallelo con il progetto di edilizia carceraria previsto dal piano carceri: mano a mano che nuovi padiglioni e nuovi istituti saranno consegnati, partirà l'ordine per gli arredi agli opifici.

"Con l'impiego dei detenuti all'interno delle carceri si intende lavorare sul concetto di operatività", aggiunge Pagano, "sul rilancio del ruolo della stessa amministrazione penitenziaria." E se l'intento è di far entrare in contatto la società con la comunità del carcere, sia detenuti che guardie penitenziarie, il vice capo Dap si spinge ancora più in là ipotizzando, in una prospettiva non troppo lontana, corsi di formazione all'interno degli istituti penitenziari.

"Quello che questa situazione di forte crisi sembra offrirci è la comprensione da parte della società. Con il governo tecnico è venuta meno quell'azione di contrasto dei piccoli amministratori locali che forse oggi ci permette di decentrare a livello regionale il dipartimento di amministrazione penitenziaria, come cercheremo di fare nei prossimi mesi; ed ancora di pensare ad una vera riforma della polizia penitenziaria che non incarni più soltanto il ruolo di custodia ma che sviluppi al suo interno operatori professionisti".