Il piano del ministro Balduzzi per la privatizzazione della Cri prevede la creazione di un'associazione autonoma e il trasferimento dei debiti in una sorta di "bad company" pubblica da liquidare. Sul modello Alitalia. Ma il progetto incontra resistenze in Parlamento e la prossima settimana potrebbe essere decisiva
La privatizzazione della Croce rossa voluta dal governo e presentata dal ministro Renato Balduzzi è arenata in Parlamento anche per le molte opposizioni che incontra proprio tra i partiti che sostengono l'esecutivo Monti. L'operazione, criticata sia sul metodo sia sui contenuti, ha l'obiettivo di riordinare l'ente commissariato da più di vent'anni, ancora sotto la lente della Corte dei Conti e passata attraverso vari scandali, non ultimo la parentopoli.
Lo schema di decreto è di fine giugno e privatizza la Cri dal 2017 scindendola in un due (per semplificare, una bad e una good company), con l'obiettivo è quello di rendere l'ente un'associazione autonoma come negli altri paesi e far risparmiare. La parte pubblica - dal 2017 soppressa a favore della parte privata - si terrebbe i debiti da sanare e gestirebbe la liquidazione di circa 4000 tra dipendenti e precari, civili e militari; quella privata diverrebbe un'associazione di promozione sociale. La good company si approprierebbe dell'ingente patrimonio della Cri, circa 350 milioni di euro, e avrebbe in dote le convenzioni con i 118 d'Italia, un giro da 183 milioni di euro che CGIL e sindacati di base danno per 800 milioni di euro. Sarebbe quindi una privatizzazione modello "Alitalia", con tutte le incertezze che impediscono di comprendere come sarà la Cri privata: con i suoi soli 500 comitati locali e i volontari, o anche qualche "capitano coraggioso"?
Con il decreto, il ministero ha pensato di ridurre da subito il suo contributo da 12 milioni per la Cri per l'anno in corso; avendo l'ente ricevuto dai tre ministeri vigilanti, 180 milioni nel 2011. Lo stato comunque destinerà da qui al 2016, 140 milioni di euro circa sia per la good che per la bad company - senza un Criterio preciso - con una riduzione di 18 e 8 milioni nel 2013 e nel 2014. Un risparmio da meno di 30 milioni di euro. Ma fino a che punto?
La somma dei tre disavanzi - comitati locali, quello centrale e quello della sede provinciale romana - ammonta a 93 milioni di euro, i debiti a 112 milioni di euro. E il rischio di dover pagare alla ex SISE, spa in house della Cri che gestiva le convenzioni in Sicilia, 50 milioni di euro è reale.
Anche in merito al personale, i risparmi si fanno magri o addirittura ci si rimette. Lo schema prevede di salvare solo 20-30 per cento dei tempi indeterminati, con una ricollocazione presso altre p.a., di mandare tutti gli altri in mobilità e tenere nell'associazione - pagati dalle convenzioni - i 1430 contratti a termine. Ma non è chiaro il motivo per cui l'associazione dovrebbe assumerli. I 9 milioni per i contenziosi che la Cri deve pagare ai 208 precari, è invece più che evidente. A questi, vanno ad aggiungersi altri 50 o 70 milioni per le cause in corso. Per i contenziosi da stabilizzazione, invece si ipotizzano solo altri 26 milioni.
Intanto ai tempi determinati della Cri al tavolo con i sindacati, Balduzzi ha parlato chiaro: "di questi tempi, non possiamo promettere gran ché." Ed anche il personale militare (1200 unità in riduzione con forme di disincentivazione, secondo il decreto), si prepara a portare in giudizio la Cri per i 7 milioni non erogati per avanzi di grado e spettanze.
La commissione sanità al Senato ha deciso di non incardinare lo schema di decreto per una questione procedurale (violazione di legge) e di rinviare il da farsi al presidente Renato Schifani che dovrà decidere entro il 18 luglio. Il giorno seguente Balduzzi sarà infatti in audizione al Senato e solo allora, al di là della violazione di legge nella proroga, attuata con il Milleproproghe del febbraio scorso, si entrerà nel merito del provvedimento. Che qualcuno, in Parlamento, vorrebbe fosse un disegno di legge, emendabile, e non un decreto legislativo con cui il governo chiede un parere alle Camere.
Intanto gira voce che il commissario straordinario della Cri Francesco Rocca, da più parti contestato, stia per lasciare l'incarico. A Rocca il decreto non dispiace ed ha iniziato a portarsi avanti con il lavoro, vendendo alcuni beni della Cri a prezzi ribassati. Ma lui ribatte: "Non è un sistema per fare cassa! Anche se la Cri rischia di morire se senza norme o senza soldi. Io invece, resisto."