I fatti, questi sconosciuti. Qualche tempo fa fece scalpore una dichiarazione del governatore del Veneto, Luca Zaia. L'esponente della Lega sosteneva che, per evitare il rischio che previsioni del tempo errate danneggiassero il turismo, sarebbe stato meglio non darle affatto, applicando una sorta di "federalismo meteorologico" o al limite, affermava il politico, «che i meteorologi lascino pure il cielo sereno sulla nostra zona». La frase si potrebbe liquidare con una risata se non fosse che, come spiega Luca De Biase, presidente di Ahref, (fondazione di Trento il cui l'obiettivo è studiare e valorizzare la qualità dell'informazione in Rete), «la vicenda è sintomatica del rapporto che abbiamo con i fatti. L'approccio corretto a una simile questione non può essere quello di non dare le previsioni, ma di prendere atto che ogni tanto piove, e agire di conseguenza».
In Italia spesso si preferisce fare il contrario: piegare l'informazione alle proprie convenienze, che affrontare la realtà. I politici, non solo in Italia, ci provano in continuazione. E non sempre i media, per pigrizia o scarsa indipendenza, se la sentono di remare contro...
Gli anticorpi, per fortuna ci sono, in gran parte per merito della Rete. Negli ultimi anni sono sorte numerose piattaforme online indipendenti che fanno del fact-checking, ossia della verifica delle informazioni e dei dati citati, la loro missione principale.
Negli Usa siti come PolitiFact, Fact Check.org, Flack Check.org e blog come The Fact Checker del Washington Post, hanno assunto un importante ruolo di guida per molti elettori che faticano ad orientarsi nel marasma di affermazioni più o meno fantasiose fatte dai membri del Congresso e dai loro spin doctor. Questi siti passano al setaccio tutte le dichiarazioni dei congressisti di primo piano e assegnano loro un indice di veridicità secondo una scala proprietaria. Il Post assegna da 1 a 4 Pinocchi a seconda della gravità delle menzogna; PolitiFact ha ideato il Truth-O-Meter, un "contatore" che classifica le dichiarazioni in sei diversi livelli di rispondenza ai fatti, attribuendo i "Pants on fire" pantaloni in fiamme, a chi davvero l'ha sparata grossa.
Il controllo dei fatti non è una pratica nuova, soprattutto Oltreoceano, ma come tutti gli standard giornalistici ha attraversato periodi di maggiore e minore fulgore, e subì un duro colpo, racconta il giornalista Michael Dobbs del Washington Post nel saggio The Rise of Political Fact-checking, durante la presidenza Reagan.
Tali e tante furono le panzane raccontate dal candidato repubblicano in campagna elettorale, sostiene Dobbs che per mesi, i giornalisti del quotidiano furono impegnati a contraddirlo finché, secondo quanto ricorda un collega del Post, Walter Pincus, furono gli stessi i lettori a dire: «lasciatelo in pace, lui cerca di essere onesto: se poi sbaglia, cosa importa». I ricordi di altri giornalisti divergono; ma è un fatto che, dal 1982 in poi, il numero di verifiche sulle affermazioni dell'ex attore divenuto presidente crollò di netto.
Una prima reazione si ebbe negli anni '90 ma la vera svolta ci fu con la vicenda delle presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein: accortisi di essere stati indotti a sostenere con l'inganno l'agenda governativa, molti reporter ritornarono a mettere in discussione le affermazioni dei congressisti. Oggi il Post è in prima linea nella battaglia per il controllo della panzane, non solo attraverso il sopra citato blog, ma anche con l’appena lanciato Truth Teller, fra i primi tentativi di creare un sistema automatizzato di verifica delle affermazioni reperite online, grazie a un sofisticato sistema di analisi semantica dei testi.
In Italia la tendenza al fact checking puntuale e sistematico dei politici ha preso davvero piede solo di recente e si fatta notare anche dai non addetti ai lavori in occasione del dibattito su Sky fra i cinque principali candidati alle primarie del Pd.
In parte grazie al lavoro dei giornalisti di Sky, che a confronto finito hanno effettuato le verifiche (pratica poi ripresa dai redattori della trasmissione Lo Spoglio, condotta da Ilaria D’Amico, dopo le interviste a Bersani e Berlusconi. Ma anche e soprattutto, grazie al lavoro di alcune piattaforme online di recente creazione. «Il nostro team», dice Giuseppe Ceglia, redattore di YouTrend, uno dei siti che hanno effettuato il fact-checking del dibattito «si coordinava via Skype. Alcuni trascrivevano le frasi man mano che venivano pronunciate, altri cercavano di mettere a confronto quando dichiarato con le fonti di riferimento. Ci eravamo preparati in precedenza consultando i database della Banca d'Italia e dell'Istat sui principali temi che sapevamo sarebbero stati oggetto di confronto. Per il resto usavamo Google». Una valutazione di massima delle affermazioni veniva subito twittata online, mentre la spiegazione più estesa del giudizio è stata pubblicata dopo una settimana sul sito Web.
Qualcosa di simile l'ha fatto pure il sito Pagella Politica che però, a differenza di YouTrend - che si occupa per lo più di analisi e sondaggi – nasce proprio come piattaforma di fact-checking. «L’idea», spiega Federica Fusi, una dei fondatori, «è nata scoprendo PolitiFact e notando la mancanza di un punto di riferimento analogo a livello nazionale».
Mutuato dall'esempio americano anche l'utilizzo di una scala graduata, che va da Vero a Panzana Pazzesca, passando per Pinocchio Andante. Erano 350, a fine dicembre, le dichiarazioni controllate. Ora Pagella Politica si prepara a seguire a tempo pieno la campagna per le elezioni nazionali: una sezione dedicata raccoglierà tutte le dichiarazioni dei candidati premier, e fra gennaio e febbraio è previsto anche il lancio di un'app per seguire in mobilità l'andamento del dibattito. Fra i grandi quotidiani nazionali si segnala l’iniziativa de La Stampa, che, al via della campagna elettorale ha lanciato La Macchina della Verità, una sezione apposita per "fare le pulci" alle dichiarazioni più controverse.
Il fact-checking, va chiarito, non riguarda soltanto le affermazioni di politicanti e affini. Quello del controllo e dell'attendibilità delle notizie è un tema assai più vasto, che si mescola con quello dell'emergere in la Rete dell'informazione dal basso, creata e diffusa dai navigatori. «Negli ultimi anni», commenta De Biase , «abbiamo visto fare la sua comparsa online un pubblico molto ampio e partecipe, il che ha aspetti positivi, ma comporta crescenti problemi metodologici. Ciascuno dice quello che vuole, senza alcuna verifica, spesso si dedicano alle news solo frammenti di attenzione, e manca una riflessione complessiva sul metodo di circolazione e validazione delle stesse».
Mezze verità o vere bufale, su Internet si diffondono in tempi rapidissimi, acquisendo vox populi lo status di assiomi. È successo per i suicidi degli imprenditori di cui, nel momento peggiore della crisi, si è proclamato un presunto boom, salvo poi accorgersi che le cifre, lette attentamente, non giustificavano un allarme così gridato (senza per questo negare l'esistenza del problema). Così come l'escalation di stupri, ad opera di uomini Rom, non ha retto alla prova del fact-checking: dati alla mano le donne del Bel Paese devono difendersi soprattutto dai mariti italiani.
La soluzione proposta da Ahref, all'interno della piattaforma Civic Links, è quella di dare in crowdsourcing, previa registrazione al sito, la verifica delle notizie a chiunque sia in grado e abbia voglia di fornire un contributo. Lo scopo è duplice: da un lato raggiungere delle conclusioni affidabili su argomenti di attualità; dall'altro, abituare i lettori a sviluppare un approccio critico all'informazione. L'iniziativa ha suscitato l'attenzione del Corriere della Sera, che ha siglato un accordo con la fondazione: dal 23 ottobre in alcuni articoli del quotidiano milanese, accanto ai consueti pulsanti di condivisione sui social è presente un link al sito di fact-checking di Ahref. Un modo per aiutare i giornalisti a svolgere meglio il proprio lavoro, pubblicizzando al contempo il servizio che infatti, da quel giorno, ha aumentato il numero di iscritti e la qualità del lavoro svolto.
Certo, controllare tutto in maniera certosina non basta: «Il fact-checking funziona bene», dice il presidente Ahref, «solo nei casi in cui le questioni sono molto definite e non c'è spazio per l'ambiguità. Spesso le dichiarazioni di uno stesso politico si contraddicono fra loro ma questo può essere sintomo di incoerenza, non necessariamente falsità».
Raccontare esattamente dati e cifre, inoltre, non basta: bisogna anche saperli interpretare all'interno di un contesto più ampio. E c'è pure il rischio che politici e Vip, pur di non essere colti in fallo diventino sempre meno loquaci e più evasivi.
Qualcuno, specie in America, mette in dubbio anche l'obiettività dei controllori, accusati di concentrare le loro verifiche su una parte politica piuttosto che sull'altra a seconda delle proprie simpatie.
Accuse di solito pretestuose, ma che contribuiscono a gettare il seme del dubbio. Ma, con tutti i suoi limiti, il fact-checking è pur sempre un primo tentativo di tornare a dare alle parole il loro giusto peso, ripristinando la corretta corrispondenza fra significante e significato. È questo, piaccia o meno, è un fatto.