La chiusura definitiva degli Ospedali psichiatrici giudiziari non avverrà il 31 marzo. La scadenza, fissata dalla Commissione Giustizia del Senato, non sarà rispettata. Lo dicono, da soli, gli atti: il decreto sui fondi destinati alla costruzione delle nuove strutture è arrivato il 7 febbraio e le Regioni hanno avuto a disposizione 60 giorni per presentare i progetti. Si arriva quindi al 7 aprile, senza contare i tempi necessari a vagliare, confermare e finanziare le proposte alternative. E a realizzarle. Insomma, una proroga, almeno temporanea, per i sei Opg ancora presenti in Italia sembra quasi scontata.
Questa è la prima, forse unica certezza, del tormentato percorso che dal 2011 sta cercando di porre fine al contenimento delle persone in questi luoghi «inconcepibili per qualsiasi Paese civile», come aveva dichiarato l'estate scorsa il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Su tutto il resto di certezze ce ne sono ben poche. Il Ministero della salute sta ancora incontrando le regioni per verificare lo stato di avanzamento dei lavori. Ogni Asl infatti dovrà riprendere contatto con le persone che aveva dimenticato nei reparti giudiziari, trovare per loro una sistemazione vicina al territorio di residenza, ipotizzare un percorso riabilitativo. Il 5 marzo il comitato nazionale StopOpg, che riunisce decine di associazioni in tutta Italia, ha organizzato un incontro a Roma per denunciare i ritardi e i rischi di veder aperti, in tutte le regioni, dei nuovi "mini-manicomi”. «Tutta l'attenzione di Governo e Regioni è rivolta a nuove strutture speciali», denunciano Stefano Cecconi e Giovanna Del Giudice: «E non a una vera alternativa».
«La proroga era nell'aria», commenta Michele Miravalle, attivista del comitato piemontese di StopOpg e membro dell'associazione Antigone: «Quello che temiamo è che ora, nella fretta, le Regioni non facciano altro che proporre di aprire nuove strutture. Piccole, magari, da 20 posti, ma sempre luoghi di contenimento, e non percorsi individuali per i malati. Ed è quello che sta succedendo». Sono mille le persone che ancora devono uscire dagli Ospedali psichiatrici giudiziari. Un terzo di questi, secondo la Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, era immediatamente dimissibile. «Le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono essere senza indugio dimesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di salute mentale» scrive il ministero della Giustizia. «Il percorso è in atto», rassicura Mila Ferri, responsabile del servizio di salute mentale nelle carceri dell'Emilia Romagna e coordinatrice del piano interregionale per la chiusura degli Opg: «Sto raccogliendo ora i flussi e negli ultimi mesi sono aumentate le uscite, in tutte le sei strutture».
Il problema è chiaro: le dimissioni delle persone rinchiuse sono urgenti, ma verso dove? I membri del comitato StopOpg vorrebbero verso percorsi individuali elaborati dalle Asl e dai Dipartimenti di salute mentale locali, in comunità poco protette o addirittura a casa, con l'aiuto dell'assistenza domiciliare. Le Regioni invece sembrano propendere per la creazione di nuove strutture, grazie anche ai fondi stanziati dal ministero. Comunità con la vigilanza esterna e infermieri presenti giorno e notte. «Manicomi», li definiscono senza mezzi termini i sostenitori di StopOpg. «Strutture in cui eseguire misure di sicurezza, di custodia, anziché dare forza alle alternativa». «C'è un nucleo di pazienti che non sono dimissibili», ribatte Ferri: «Persone che devono essere necessariamente seguite con un controllo maggiore. E queste comunità saranno necessarie. Ogni regione ne sta ipotizzando almeno una».
I dipartimenti si troveranno così a scegliere se trovare le forze per assistere personalmente ogni malato o ospitarne venti in una struttura, per cui i fondi, di sicuro, non mancheranno: sono già stati stanziati 174 milioni per la realizzazione o l'adeguamento delle comunità, e 55 ne sono stati garantiti per le spese correnti. «Bisogna monitorare affinché questi fondi non diventino un'occasione di business per i privati», commenta Miravalle, che ha dedicato agli Opg la sua tesi di dottorato: «Le rette valgono fino a 60mila euro all'anno, e sono soldi sicuri, perché già accantonati, non dipendono dai rimborsi sanitari».
Il problema, dice StopOpg, è che ancora non si è capito chi si occuperà di questo controllo, e il governo ha rifiutato la proposta del senatore Ignazio Marino di incaricare un commissario per seguire tutto il processo. In Emilia Romagna gli uomini ancora internati in Opg sono solo 14, tre le donne. In Lombardia invece sono 279 i malati per cui trovare un posto. Ed è proprio la Regione del neo governatore Maroni quella che riceverà i finanziamenti più consistenti per le spese del personale nel 2013: 10 milioni di euro per la ricollocazione di 308 internati in Opg registrati nel 2011.
Di fronte alla proposta di prorogare la chiusura degli Opg, che arriva anche dalla Società italiana di psichiatria, la paura delle associazioni è che si verifichi quanto è già successo dopo la legge del 2008, che imponeva il passaggio di consegne dal Ministero della giustizia a quello della salute per l'assistenza sanitaria dei detenuti: «Alcune regioni non hanno fatto nulla», denuncia Miravalle: «Con ritardi e scelte colpevoli come quella della Sicilia, che ancora non ha recepito la legge. E l'Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, così, è ancora gestito dall'amministrazione penitenziaria». Un ritardo preoccupante, a cui solo ora il nuovo assessorato ha deciso di mettere mano.
«Quando abbiamo preso in carico la gestione dell'Opg dell'Emilia Romagna, nel 2009», racconta Ferri: «Ci siamo trovati di fronte una situazione da film, come quella denunciata dal video della Commissione Marino. Gli episodi di contenzione erano centinaia all'anno. Noi ne abbiamo ridotto al minimo l'uso, abbiamo raddoppiato il personale, a spese nostre, e inserito un paradigma di cura, anziché di controllo. Così è cambiato tutto». Proprio in Emilia Romagna si trova oggi una delle poche esperienze modello d'Italia per la cura dei "folli-rei”, la comunità Sadurano - Casa Zacchera - di Castrocaro Terme, in provincia di Forlì Cesena: cancelli aperti, piena libertà degli ospiti, terapie personali, cure di altissimo livello. Ma è una rarità. Così che oggi il comitato StopOpg mette in guardia dal rischio di uno «scaricabarile tra Governo e Regioni, con pericolose soluzioni improvvisate che rischierebbero di peggiorare l'attuale situazione».
Fra i problemi che Ministero e regioni dovranno discutere c'è anche il potenziamento necessario dell'assistenza psichiatrica negli istituti di pena. Ad oggi i reparti di osservazione sono solo otto («Ce ne vorrebbe almeno uno per ogni regione», sostiene Ferri) e non bastano: nel 2012 oltre 10mila detenuti risultavano affetti da disturbi psichici e depressione o da malattie correlate alle dipendenze. Molti, prima, venivano inviati impropriamente agli Opg. Ma dal 31 marzo questo non sarà più possibile. E gli stessi reparti, sostiene Miravalle, devono essere ripensati: «Ho visitato personalmente quello del Sestante, al carcere delle Vallette di Torino. 23 posti letto, in celle singole, completamente bianche e lisce, per evitare episodi di autolesionismo, e controllate 24 ore su 24 dalle telecamere. Mi sembrava un incubo». Eppure il Sestante è presentato come un'eccellenza del sistema penitenziario. «Noi in Emilia abbiamo 4 posti, e sono più che sufficienti», risponde invece Ferri: «Bisogna investire più che altro nell'assistenza diffusa, per tutti, e nella prevenzione».