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Attualità
aprile, 2013

Napoli mia, senza speranza

La serrata dei commercianti. La città paralizzata. Le bombe carta e i lacrimogeni sotto il comune. Come vent'anni fa, a vedersi. Ma in realtà è peggio

Non scrivo quasi mai di Napoli. E non tanto per evitare di trattare argomenti troppo 'local'. No, il fatto è che guardo con sempre maggiore distacco e dolore la mia città. La mia città nella più grave crisi istituzionale ed economica dagli inizi degli anni '90, dai tempi della chiusura dell'Italsider e della bufera di Tangentopoli.

A guardare questi vent'anni indietro, nulla sembra essere mutato. La violenza, la prevaricazione, il mancato sviluppo, la povertà, le periferie attorno e dentro la città, i quartieri di Bagnoli e San Giovanni a Teduccio dismessi, la criminalità, la disoccupazione organizzata o meno. Ma vent'anni fa, l'elezione di Antonio Bassolino generò un moto di orgoglio e di speranza, come se Napoli potesse essere finalmente diversa dal racconto mitopoietico che di essa è sempre stato fatto. La stessa speranza che due anni fa ha eletto Luigi De Magistris sindaco, e che oggi ha abbandonato quasi tutti i napoleani.

20 anni fa, la città reagì contro malaffare e crisi economica, dando inizio ad una primavera politica che fino alla fine degli anni '90 è stata un'esperienza invidiata e imitata in tutto il Paese. Oggi vedo una città, stanca, delusa e disincantata, che scende in piazza per protestare contro la ZTL e condensa in sé tutti gli stereotipi del napoletano: il furbo, il patronus, il cliente, il nobile decaduto, il sanfideista, il lazzaro, il masaniello. Mi chiedo in una città senza un'idea di futuro e con la disoccupazione ai massimi storici, è normale che si scatenino scene da guerriglia urbana per un dispositivo di mobilità, che per quanto rigido e sbagliato ha restituito e vuole restituire pezzi interi di città alla vivibilità? È mai possibile che a scendere in piazza contro l'Amministrazione sia il quartiere borghese di Chaia, e no quello popolare di Ponticelli o di Miano, dove la fame non è uno stilema letterario, né un modo di dire?

Il sindaco ha delle enormi responsabilità in tutto questo. Arroccato nella torre d'avorio di Palazzo San Giacomo, ipersensibile alle critiche anche quelle costruttive, ha immaginato di poter amministrare un città complessa sull'onda di politiche simboliche, senza costruire un rapporto funzionale con la società napoletana e con i suoi corpi intermedi. Senza i partiti che rappresentano gli interessi larghi e le istanze della città la sua solitudine amministrativa è diventata man mano arroccamento, fino ad un passo dal fallimento totale.

Ora c'è chi spera, anche nel mio partito, il PD, che questa esperienza si concluda presto e nel peggiore dei modi possibili. In parte questo atteggiamento è pure comprensibile visto l'arroganza con cui De Magistris ha sempre trattato il PD. Ma qui sono in gioco come sempre non tanto i destini personali, quanto quelli di Napoli. Una città senza guida, lasciata a se stessa, sarebbe preda dell'unico potere accertato da queste parti, la camorra. E in ogni caso, sulle macerie di questa città, dopo la caduta di De Magistris, non tornerebbe il PD a governare da Palazzo San Giacomo. Piuttosto i famelici che per fortuna, grazie anche all'onda arancione, hanno perso le elezioni della primavera del 2011. Ma è una magra consolazione: i lupi sono già fuori al Municipio, e non aspettano altro che di entrare e spolparsi la carogna di quello che resta.

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