Nel 1988 la figlia Roberta è stata violentata e uccisa. Aveva 19 anni. Ma i genitori, i coniugi Lanzino, non si sono arresi al dolore. E a Cosenza hanno creato una fondazione che sostiene e ospita le vittime di abusi e i minori in situazioni familiari difficili. Dando una lezione di civiltà

"Con la Fondazione Roberta Lanzino vogliamo dare un segnale forte: che il dolore può trasformarsi in speranza. La violenza contro le donne è un fenomeno culturale che si può combattere e prevenire. Accogliamo le vittime di abusi e lavoriamo anche con gli adolescenti nelle scuole, prima che diventino adulti, violenti o succubi". Matilde e Franco Lanzino aspettano da venticinque anni giustizia per la figlia, ma non lo fanno con le mani in mano: per il loro impegno nel volontariato sono stati nominati Cavalieri della Repubblica, e così lo raccontano.

Quando deve spiegare come è nata la fondazione, Franco comincia da quel pomeriggio del 1988. Ti guarda negli occhi e senza darti scampo inizia a parlare: "Un giorno d'estate stai andando con la famiglia nella casa al mare. Mandi tua figlia avanti, col motorino, che poi la segui in macchina lungo il tragitto che sfiora la collina, nella provincia di Cosenza. Ti fermi a una fontana a prendere l'acqua, tua moglie Matilde compera qualcosa da mangiare, poi incroci un conoscente che ti parla di lavoro. Quanto tempo avrai perso? Percorri la strada che fai di solito, ma Roberta dev'essere stata così veloce che non riesci a raggiungerla. Finché non arrivi a casa, ma lei non c'è."


Era il 26 luglio, Roberta Lanzino ha 19 anni e frequentava l'università. Aveva sostenuto tutti gli esami e per lei stavano iniziando le vacanze estive. A settembre voleva seguire un corso sull'attività sindacale, sulle orme del padre, aveva già programmato tutto. Il suo corpo è stato trovato in un tratto di campagna oltre la strada, con i segni di percosse e di violenza sessuale. Accoltellata e morta per soffocamento con la sua stessa spallina, usata per non farla urlare.

Quante volte l'avrà ripetuta questa storia, Franco Lanzino, con la voce ferma e gli occhi asciutti? Ma poi basta una domanda per gonfiargli il respiro e annacquargli la vista, mentre cammina senza bastone in una mattina di sole a Cosenza.

"All'inizio, quando la gente mi diceva 'partecipo al vostro dolore' io pensavo: tutte balle. Il dolore è personale, io sono geloso del mio. Poi abbiamo deciso di agire, con mia moglie, perché Roberta non morisse ancora nel silenzio, ma potesse aiutare gli altri come aveva sempre fatto."

La Fondazione Roberta Lanzino contro la violenza sulle donne e i minori nasce ufficialmente nel 1989. È un centro di ascolto e di accoglienza per donne e adolescenti che convivono con maltrattamenti e abusi e offre ospitalità a chi si allontana da situazioni familiari violente, spesso portano con sé i figli.

Prevede un'assistenza volontaria e su più aspetti: c'è la psicologa, l'assistente sociale, il medico e l'avvocato per le consulenze legali. "Abbiamo osservato il fenomeno della violenza sulle donne e costruito una rete di persone che collaborano su vari aspetti. I nostri professionisti sono per la maggior parte donne e lavorano con uno sguardo di genere e una formazione specifica per questo tipo di casi" spiega Franco. La Casa di Roberta è la sede della fondazione ed è stata costruita su progetto approvato nel 1992 con finanziamenti della regione. A Rende, appena fuori Cosenza, l'edificio rosso e grigio a due piani è un'isola circondata da un giardino. Sulla porta a vetri un cartello con gli orari del centro di ascolto, i numeri di telefono e l'invito a chiamare anche sul cellulare.

Matilde Lanzino varca la soglia come se entrasse in casa di Roberta. Occhiali neri che non toglie quasi mai, il passo leggero, la signora ha nella voce ha una forza che si sente anche quando parla piano: "La maggior parte delle donne che arrivano qui sono spaesate. Si vergognano della violenza che subiscono, alcune ti parlano di una cosa invece il problema è un altro, ci sono situazioni che intuisci grazie alla formazione e l'esperienza. Quello che ci chiedono più spesso è la consulenza legale, l'assistenza nel caso di processi. A volte la fondazione si costituisce parte civile."

I volontari e i ragazzi del servizio civile, che fanno la prima accoglienza, vengono preparati con un corso di formazione e un periodo di affiancamento. "Lavorare con le donne che hanno un vissuto di abusi non è facile. Non bisogna reagire alle storie che raccontano, né dare consigli. Si devono sentire accolte e comprese anche per gli errori che hanno fatto, non giudicate. È un tipo di impegno che mette alla prova anche con se stessi" spiega Matilde mentre indica la strada per il piano di sopra. Salendo le scale ci sono gli appartamenti per l'ospitalità a tempo pieno, sono attrezzati per venti persone compresi i bambini. Molte sono state ospiti di passaggio, in attesa di una sistemazione. Qualcuna è tornata in casa propria, non abbastanza decisa a cambiare vita. "Noi non costringiamo nessuno a restare qui o a denunciare" precisa Matilde "Cerchiamo di accompagnare queste donne nel cammino di guarigione dalla violenza subita, ma soprattutto dalla mentalità che giustifica quegli atti e le rende succubi. Molte sono svilite a tal punto che pensano di meritarsele, quelle percosse".

La prevenzione è l'altro versante su cui lavora la fondazione. "La violenza contro le donne sta diventando tra gli adolescenti un fenomeno sempre più allarmante. Cerchiamo di educare questi ragazzi al rispetto dell'altro e di se stessi e lo facciamo nelle scuole. Abbiamo creato il progetto Pollicino, che va avanti da 13 anni negli istituti della provincia di Cosenza e si sta estendo in altre zone della Calabria fino ad arrivare a Roma". È curato da Matilde, che dopo aver lasciato l'insegnamento quando ha perso la figlia, ha riscoperto il piacere di lavorare con gli studenti e forse quello più faticoso di viaggiare per spostarsi da una scuola all'altra sul territorio. L'appuntamento in classe si ripete una volta al mese per un ciclo di tre anni, in genere lei è affiancata dallo psicologo o un'altra figura professionale.

"Quest'anno abbiamo affrontato il tema dell'adolescenza con il pericolo che arriva dal web, lo stalking, il bullismo, le relazioni di amore e amicizia. Facciamo vedere un film, per esempio, o leggiamo degli articoli e poi apriamo il dibattito, i ragazzi si sentono liberi di dire ciò che vogliono. A fine anno vengono realizzati dei lavori: disegni, testi, musica, fotografie che esprimono il senso di quello che si è imparato contro la violenza. Ognuno condivide il suo e se ne va con il pensiero dell'altro dentro di sé, e se sono tanti pensieri porteranno alla riflessione e alla crescita personale".

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