Non di solo petrolio vive l’uomo. Neanche in Qatar. C’è una risorsa fondamentale che manca al terzo maggiore produttore di gas liquido del mondo. Al Qatar manca il cibo. Nel Paese che si affaccia sul salatissimo Golfo Persico e si erge su 11.437 chilometri quadrati di deserto, viene coltivato solo l’1 per cento della superficie. E questo si traduce nel fatto che deve importare il 90 per cento del cibo che consuma.
L’obiettivo, oggi, è quindi quello di mettere le mani su tecnologie di punta che permettano di raggiungere l’autosufficienza alimentare. Per questo è arrivato in fase di approvazione l’ambizioso piano nazionale per la sicurezza alimentare (il Qatar National Food Security Programme): una road map di misure tecnologiche ed infrastrutturali che nei prossimi 12 anni dovrebbero garantire al Qatar la copertura del 40 per cento del suo fabbisogno di cibo ed acqua. Le strategie elaborate dalla taskforce del Qnfsp (17 enti privati e ministeriali) prevedono coltivazioni idroponiche accanto a quelle tradizionali ed un Parco Agro-Industriale per la produzione di alimenti che dovrebbe vedere la luce tra dieci anni. I punti chiave del Master Plan alimentare del Qatar sono la costruzione di un Solar Park, dove il sole produrrà il 100 per cento dell’energia necessaria ad alimentare il nuovo impianto di desalinizzazione dell’acqua per irrigare i terreni e coltivare cibo. «Attualmente le nostre riserve idriche possono bastare solo per 67 ore.
Ci vuole qualcuno che investa in ricerca e sviluppo», spiega Jonathan Smith, del Qnfsp: «Ci sono molte altre nazioni che hanno il problema della mancanza di acqua, c’è bisogno di qualcuno che prenda l’iniziativa, ed è ciò che speriamo di fare». Oltre ai piani faraonici, nel deserto sta sorgendo un piccolo ma concretissimo progetto pilota, il Sahara Desert Project, che comincia a dare i primi frutti. Anzi, per essere precisi, i primi cetrioli, coltivati con acqua salmastra ed energia solare. Nella zona industriale di Mesaieed, 50 chilometri a sud della capitale Doha, è sorta un’oasi di tecnologie rinnovabili mirate a rendere coltivabile la terra.
«Vogliamo sfruttare risorse che abbiamo in abbondanza, come luce del sole, anidride carbonica e calore, per produrre in modo sostenibile ciò di cui invece siamo più bisognosi: cibo e acqua», spiega Joakim Hauge, amministratore delegato del Sahara Desert Project, una compagnia privata norvegese. In particolare si tratta di combinare fotovoltaico e solare termico alle più moderne tecnologie per la dissalazione dell’acqua salmastra, sofisticati sistemi di raffrescamento evaporativo e tecniche innovative per la coltivazione di cibo e biomasse.
«Abbiamo il primo impianto a concentrazione solare operativo in Qatar per produrre acqua dolce, 10 mila litri al giorno», spiega Hauge. Il calore del sole riflesso dagli specchi dell’impianto viene usato per attivare un sistema di dissalazione che produce acqua distillata per coltivare le piante nella serra e fuori. «Utilizziamo acqua salata per far raffreddare la serra da 650 metri quadrati, mantenere umidità al suo interno e produrre acqua dolce», continua Hauge. E i risultati cominciano a vedersi: la serra sta già facendo nascere cetrioli in quantità simili ai livelli di produzione europei; e ci sono anche coltivazioni di rucola e orzo. Altro obiettivo è poi quello di poter rigenerare la flora tipica dei deserti della regione, e per questo vengono coltivate una serie di piante autoctone come Panicum turgidum, Limonium axillare, Cassa Italica e Ziziphus che possono essere usate per pascolo e foraggio o per la riabilitazione dei terreni desertici.
Il governo del Qatar e quello norvegese sostengono l’impianto pilota del Sahara Desert Project, finanziato con circa otto milioni di euro dal colosso dei fertilizzanti Yara International e da QAFCO in Qatar. «L’attuale stabilimento non è pensato per massimizzare la produzione di verdure ma quella di conoscenze», sottolinea Hauge: «Prima di passare alla fase successiva stiamo testando come le tecnologie possano funzionare insieme e adattarsi alle aride condizioni climatiche del Qatar. La sfida è dimostrare che la produzione agricola può essere condotta tutto l’anno». Se tutto andrà bene le prossime fasi del progetto prevedono la costruzione di un impianto di 20 ettari per la produzione di verdura su larga scala che servirà anche come hub di innnovazione tecnologica.