Il caso di Michele Russotto, ragazzo romano trovato in possesso di due piante di marijuana. "Sono malato, ma gli psicofarmaci mi stavano trasformando in uno zombi". E adesso rischia fino a 20 anni di carcere
Non ne parla volentieri. Le due notti in cella, il processo che dovrà ora affrontare e i sigilli alla sua casa pesano come macigni. “Questa storia è tra l’altro paradossale: ho sempre odiato chi si faceva le canne, ho iniziato da pochissimo e solo per sedare le mie paranoie”.
Michele Russotto, venticinquenne romano, è disoccupato. Bassino, magro ma muscoloso. Si arrangia tra un lavoretto e l’altro: imbianchino, idraulico, traslocatore. Sui polsi i segni della sua enorme sofferenza,
“ho tentato più volte il suicidio”. Quando ci racconta i fatti ancora trema, è visibilmente scosso.
Lo scorso 5 gennaio alle 9 del mattino due poliziotti piombano nella sua abitazione dopo una segnalazione di un possibile furto nell’appartamento. Ad allertare il 113 sarebbero stati alcuni vicini. Nessun ladro, ovviamente. In compenso gli agenti trovano in un armadio un piccolo impianto artigianale
per coltivare marijuana. Nello specifico due piante.
“E’ la mia medicina, fumo per rilassarmi.
Sono un malato psichico” l’immediata replica del giovane. La cartella clinica in suo possesso conferma. Russotto dal 2008 al 2012 è stato seguito presso il dipartimento di Igiene Mentale dell’Asl Roma A ed ha intrapreso una “terapia farmacologica prescrittagli per il suo
disturbo di personalità con concomitanti oscillazioni del tono dell’umore e intensi stati ansiosi”.
Tutto inutile. Viene portato in Questura centrale, a via Genova, e posto in stato di fermo per 48 ore nella cella di sicurezza. “La prima notte ho avuto un forte attacco di panico, mi sentivo di morire”
racconta Russotto il quale, in quel lasso di tempo, non ha potuto né parlare col suo psicologo né assumere alcun tipo di farmaco. Il giudice, per sua fortuna, convalida l’arresto ma non dispone le misure cautelari. Il ragazzo torna a piede libero. Processo fissato per il prossimo 17 aprile, è accusato di coltivazione e detenzione a fini di spaccio. Rischia dai 6 ai 20 anni di carcere seppure nella sua abitazione non siano stati trovati né tanita né dosi impacchettate né soldi.
“E’ da un anno che fumo cannabis - dice Russotto - Non ne potevo più di drogarmi di
psicofarmaci, un incubo: ero uno zombie vivente, sedato dalla mattina alla sera tra Valium, Seroquel, Tranquirit, Entact e altro ancora”. Così la scelta di lasciare pian piano le medicine ed intraprendere una “nuova cura”. Per l’accusa sarebbero 230 le dosi di Thc in possesso di Russotto. L’avvocato difensore,
Marco Lucentini, ha subito richiesto una perizia tossicologica e insiste sull’uso teraupeutico, come il giovane - il quale abusava di psicofarmaci - trovasse giovamento nella marijuana. Per il legale “siamo di fronte ad un’emergenza” essendo molti i casi di semplici consumatori in stato di arresto per piccole coltivazioni di marijuana a casa: “Malgrado il rito abbreviato a Velletri c’è un ragazzo in carcere da 4 mesi per 104 dosi, è una vergogna”.
In ballo
la Fini-Giovanardi sulle droghe. Legge che vorrebbe abrogare il senatore Pd Luigi Manconi,
il quale ha presentato un ddl per la depenalizzazione della marijuana. “Ritengo sia insensato e gravemente irrazionale - afferma - che nei confronti di un uso personale e di una coltivazione a scopo privato vi sia un enorme investimento dell’apparato repressivo con spreco di risorse economiche, istituzionali e giudiziarie. Il tutto rimanda ad un’altra questione: uno Stato che vuole penalizzare il comportamento privato del 20-25 per cento della sua popolazione fa una scelta irresponsabile”. Infine, una stoccata sull’inefficacia in termini pratici del proibizionismo: “Non chiedo la legalizzazione di queste sostanze perché innocue, la chiedo proprio perché il loro abuso può essere nocivo tanto più quando sono fuori legge”.
Dati alla mano, un terzo dei detenuti è in carcere per la violazione della Fini-Giovanardi, una legge che non distingue tra droghe leggere o pesanti o tra consumatori e dipendenti.
Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, è stato tra i promotori insieme ad altre realtà di una petizione popolare per l’abrogazione di tale norma, considerata “criminogena e dagli eccessi punitivi fondati su una base morale, non scientifica né giuridica”. Per lui qualcosa sta cambiando. Negli Usa, Paese della
War on drugs, in alcuni stati (come il Colorado)
si apre alla legalizzazione della marijuana. ”La guerra alle droghe ha perso e qui in Italia a sentire Pd, M5S e Sel ci sarebbero i numeri per una svolta e un superamento della Fini-Giovanardi”.
Intanto il prossimo 11 febbraio la Corte Costituzionale si pronuncerà sulla legittimità o meno della legge. A sollevare la questione è stata la terza sezione penale della Cassazione, sentenza dell'11 giugno scorso. I punti controversi sono la “parifica ai fini sanzionatori” tra droghe pesanti e leggere e il percorso che ha portato all'approvazione della Fini-Giovanardi e in particolare la possibile violazione dell'articolo 77: le norme in questione, infatti, sono state inserite nella legge di conversione con un maxiemendamento al dl 272/2005, inerente "misure urgenti dirette a garantire la sicurezza e il finanziamento per le Olimpiadi invernali di Torino, la funzionalità dell'amministrazione dell'interno e il recupero di tossicodipendenti recidivi".