La Confederazione ha detto sì al referendum per limitare i lavoratori stranieri: oltre 500 mila residenti, a cui si aggiungono circa 60 mila frontalieri. Principalmente italiani. Ecco perché la vittoria degli anti-barbari ci riguarda da vicino

(Aggiornamento: la Svizzera ha detto sì al referendum anti-immigrati. Con il 50,5 per cento dei voti è stata così approvata l'iniziativa per limitare i lavoratori stranieri in territorio elvetico. E nel Canton Ticino, al confine dell'Italia, il fronte "contro i barbari" ha sfiorato il 69 per cento. Ora il governo dovrà rinegoziare anche i trattati di libera circolazione firmati con la Ue nel 2002. Qui l'articolo di Vittorio Malagutti in cui si spiegano le ragioni della proposta presentata dal partito di destra Udc)

Un gigantesco albero nero con le radici come tentacoli che soffocano la Svizzera. E poi, in calce, lo slogan: “Basta con l’immigrazione di massa”. Immagini di questo tipo, riprodotte in migliaia e migliaia di manifesti, accoglieranno giovedì 30 gennaio l’arrivo a Berna di Fabrizio Saccomanni. Il ministro dell’Economia darà il via al secondo “Forum del dialogo tra Italia e Svizzera”, ma il dialogo, a dire il vero, non va molto di moda nella vicina Confederazione, un Paese sempre più chiuso in se stesso che presto potrebbe fare un salto all’indietro nel tempo di un paio di decenni.

Il 9 febbraio, giusto pochi giorni dopo la visita di Saccomanni, gli svizzeri saranno chiamati a votare sulla proposta di rinegoziare il trattato con l’Unione europea per la libera circolazione delle merci e delle persone. Questa è la formulazione ufficiale del quesito referendario, ma la questione può essere riassunta in poche parole. Stop agli immigrati, come recitano i volantini targati Udc (Unione democratica di centro), il partito di destra che ha vinto le ultime elezioni, nel 2011, conquistando il 26,6 per cento dei voti  e spezzando i consolidati equilibri politici elvetici. Se vinceranno i sì, Berna tornerà al sistema delle quote. Verranno stabiliti dei tetti all’ingresso di stranieri, suddivisi in base alla provenienza e alla professione.
Il giornale straordinario pubblicato dal partito svizzero UDC per il referendum

Con oltre 500 mila residenti in Svizzera, a cui si aggiungono circa 60 mila frontalieri, l’Italia è di gran lunga il Paese più minacciato da un simile ribaltone. E negli ultimi anni, non solo dalle regioni del Nord, ma un po’ da tutta la Penisola, è di molto aumentato l’afflusso di lavoratori verso i cantoni elvetici. Questo è uno dei tanti effetti collaterali della crisi, adesso però, a differenza del passato, una quota importante dei nuovi emigrati è alla ricerca di un impiego qualificato: ingegneri, architetti, insegnanti, consulenti aziendali e finanziari. Da almeno un paio di anni, le attenzioni del governo italiano, a cominciare da quello guidato da Mario Monti, si sono concentrate sul rimpatrio dei capitali nascosti nelle banche svizzere da milioni di evasori nostrani. Se però il 9 febbraio dovesse passare la proposta che taglia i ponti con l’Europa, allora Roma potrebbe essere costretta a negoziare con Berna non solo il rientro (fin qui solo auspicato) dei capitali, ma anche quello di migliaia di emigranti, o aspiranti tali, costretti a cambiare destinazione.

Siamo a questo punto? Davvero la fortezza svizzera è pronta a chiudere le porte al mondo esterno? L’establishment elvetico, politica, banche e industriali, sfoggia tranquillità e rassicura i vicini europei. E di certo si comporterà allo stesso modo anche Didier Burkhalter, il presidente della Confederazione (un liberale di Neuchatel) che il 30 gennaio riceverà Saccomanni in occasione del Forum del dialogo. «I benefici dell’immigrazione sono di gran lunga superiori ai suoi costi», questo è il messaggio che arriva dai palazzi del potere, da Berna come da Zurigo, la capitale finanziaria.

A pochi giorni dal voto, però, la tensione resta alta ed è massima l’incertezza sull’esito del referendum. La questione dell’immigrazione scalda gli animi della gente anche in un Paese abituato ad andare alle urne con grande frequenza per decidere sulle proposte più disparate. La crisi economica, e il timore di perdere l’eccezionale benessere che sembrava un diritto acquisito, hanno riportato alla superficie del dibattito politico temi che sembravano ormai archiviati, souvenir di una stagione lontana. Nel giugno del 1970, venne messa ai voti la proposta del deputato James Schwarzenbach. Una proposta che in sostanza avrebbe comportato il rimpatrio di almeno 400 mila stranieri, in gran parte italiani. Alla fine prevalsero i no, ma di stretta misura (54 per cento contro 46) e da allora la Svizzera ha progressivamente aperto le porte al mondo fino ad arrivare, nel 2002, al trattato per la libera circolazione delle merci e delle persone con l’Unione europea.

Fu una svolta decisiva. Grazie a questo accordo i cittadini elvetici e quelli della Ue possono circolare e risiedere in ognuno dei Paesi firmatari, compresi quelli, entrati più di recente a far parte dell’Europa a 28, tipo Croazia, Romania e Bulgaria. Su questi ultimi si sono concentrate in passato le proteste dei movimenti anti-immigrazione, senza peraltro riscuotere grande successo nell’elettorato.

Adesso però la situazione è cambiata. La crisi economica internazionale ha mutato la percezione del mondo anche da parte degli svizzeri. Nella Confederazione non esiste il problema del debito pubblico (pari al 35 per cento del Pil) e la disoccupazione è inferiore al 5 per cento, ma proprio per questo da Lugano fino a Zurigo si diffonde sempre di più la sindrome della fortezza assediata, con gli stranieri dipinti come barbari che premono alle frontiere.

«L’odierna dismisura (così nel testo, ndr.) nell’immigrazione», si legge in un documento dei promotori del referendum, «mette in pericolo la nostra libertà, la sicurezza, il pieno impiego, il nostro paesaggio e, infine, il nostro benessere». Per mobilitare gli elettori la destra svizzera racconta di un Paese vicino al caos, con «treni sovraccarichi, strade intasate, pressione sui salari, criminalità e masse di stranieri che vivono a spese dell’assistenza pubblica e di altre istituzioni sociali». Uno scenario simile può far sorridere chi vive la realtà delle grandi città italiane e la confronta con quella tutto sommato ordinata e tranquilla di gran parte della Svizzera.

La paura però nasce altrove. Il ricco welfare elvetico ha fin qui assicurato un trattamento di prima classe a tutti. Compresi immigrati, che in proporzione ai residenti sono tantissimi. Si calcola che circa il 25 per cento della popolazione svizzera sia nata all’estero. E allora l’incubo, adesso, è che in un futuro prossimo venturo la torta delle risorse debba essere divisa in troppe fette, sempre più piccole. Da qui il senso di insicurezza, cavalcato dalla destra contro i tre partiti tradizionali: socialisti, popolari e liberali.

Gli ultimi sondaggi, a dire il vero, sembrano piuttosto rassicuranti per il fronte del no. La proposta  dell’Udc non andrebbe oltre il 45 per cento dei consensi. Partita chiusa? Non proprio. Quattro anni fa, nel novembre 2009, anche il divieto alla costruzione di minareti, un’altra proposta dall’estrema destra, sembrava condannato a una sonora sconfitta. E invece alla fine prevalse il sì. Va detto che per avere successo il referendum deve raccogliere la maggioranza dei voti popolari in almeno la metà più uno dei 26 cantoni. Non sarà facile. In alcune zone della Svizzera interna, quelle dove è minore la presenza di immigrati, il problema non è poi così sentito.

Diversa la situazione nelle grandi città come Zurigo e Basilea. Oppure nelle regioni di confine: a Ginevra e in Ticino. Nel cantone di lingua italiana gli xenofobi della locale Lega, che si ispira al verbo di Umberto Bossi, sono ovviamente in prima linea nella campagna a favore del sì. È un sostegno pesante. Alle elezioni del 2011 la Lega dei ticinesi è diventata il primo partito del cantone con oltre il 30 per cento dei voti.

Il paradosso è che l’eventuale successo del referendum finirebbe per danneggiare innanzitutto le decine di migliaia di frontalieri, tutti provenienti dalle provincie lombarde roccaforte della Lega Nord. Va a finire che perfino Matteo Salvini sarà costretto a difendere gli immigrati, quelli italiani, dall’attacco dei suoi amici svizzeri. 

LEGGI ANCHE

L'edicola

25 aprile ora e sempre - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 18 aprile, è disponibile in edicola e in app