Dopo sette anni al top, la manifestazione di Perugia doveva chiudere per gli scarsi contributi della pubblica amministrazione. Poi i due fondatori, Arianna Ciccone e Chris Potter, hanno avuto un'idea: "Proviamo a raccogliere i fondi con la rete". Un successo: oltre 100.000 euro in 90 giorni. E allora sono arrivati anche Amazon e Google

“Stop at the top”. Fermiamo la macchina. Fermiamola adesso che ha raggiunto il successo. E' il 17 ottobre 2013. Arianna Ciccone e Chris Potter annunciano la dolorosa decisione di “uccidere” la loro creatura: il Festival Internazionale di Giornalismo che da sette anni si svolge a Perugia.

Stanchi di una manifestazione che in sette anni si è affermata come uno degli appuntamenti di discussione e analisi sul giornalismo più seguiti al mondo? Stanchi delle fatiche organizzative e delle “bizze” di tante “prime firme” internazionali? No. Stanchi delle trattative, delle risposte sempre sospese, delle lunghe attese davanti alle porte dell'assessore di turno per ottenere quel minimo di finanziamenti che garantissero la vita del festival. Disponibilità sempre più risicate e pagamenti in ritardo, non sembrano ai due fondatori del festival più tollerabili.

“Così si chiude”, annuncia  Arianna, direttrice e fondatrice, insieme a Chris, del festival. “Il budget era diventato troppo fragile, nonostante il crescente successo internazionale della manifestazione”, ricorda Arianna. “E poi ci eravamo resi conto, spulciando i bilanci della pubblica amministrazione, che in realtà non è che i fondi non ci fossero, erano solo distribuiti diversamente, diciamo così, con altre finalità”.

Punto e a capo, dunque. Tutto finito. Eppure neanche due esperti della rete, come Arianna e Chris, avevano calcolato la reazione che l'annuncio avrebbe scatenato da subito sui social media. O forse sì. Sta di fatto che la decisione di chiudere il festival non viene presa con rassegnata accettazione da quanti, italiani e stranieri, hanno seguito il festival nei sui sette anni di vita. Dai social network arriva una risposta impressionante, incalzante. E' un susseguirsi di “Nooooo” e di commenti: “Brutta notizia”, “Un'altra eccellenza italiana che chiude: che tristezza!”. E non sono solo lamenti. Nel tweet-movimento qualcuno butta lì un suggerimento: “Tentate con il “crowdfunding”, la raccolta di donazioni in rete tra liberi sostenitori. Indicazioni pratiche arrivano da Salvo Mizzi, fondatore di Working Capital, l'acceleratore di Telecomitalia, e Chiara Spinelli, esperta di crowdfunding.

Arianna e Chris ci pensano un po'. Studiano le possibilità. Altre città, da Bari a Torino, si offrono di sostenere la manifestazione, strappandola a Perugia. E' in questo contesto che matura la nuova decisione: niente più soldi pubblici, niente più umiliazioni per ottenere finanziamenti dalle istituzioni. In una notte il modello di business fondato su aiuti pubblici e privati viene abbandonato. “Se deve vivere, l'edizione 2014 deve trovare una strada diversa”, decidono, “attraverso un modello misto crowdfunding e corporate sponsorship”.

Parte la scommessa. L'obiettivo è ambizioso: raccogliere 100.000 euro in 90 giorni grazie al crowdfunding. “Ci sembrava un'impresa folle – ricorda Arianna – e arrivare a 50 mila euro per noi sarebbe già apparso un miracolo”. Il 2 novembre, grazie a Starteed, piattaforma messa a disposizione da una startup, parte la raccolta di fondi. Tutto avviene molto velocemente. Tutto accade sui social network, dove le notizie sul Festival rimbalzano in un tam tam che attraversa giornalisti, testate, sostenitori in tutto il mondo.

Il primo giorno di raccolta vengono raggiunti i 5000 euro. Si va da micro donazioni di 10 euro al “Gold Donor” che parte dai 1000 euro in su. Grandi e piccole aziende si mobilitano. Vecchi e giovani giornalisti fanno la propria parte. Beppe Severgnini e Vittorio Zucconi ingaggiano una tenzone su Twitter a chi dona di più. Arrivano soldi dagli Stati Uniti, dalla Russia, da Spagna, Francia e Finlandia. Ma anche da Perugia. Se le restie e sgonfie casse della pubblica amministrazione sono ormai precluse per scelta dei fondatori del Festival, si aprono quelle, ben più piccole delle realtà del territorio: commercianti, imprese, studenti. I ragazzi del liceo scientifico Galileo Galilei di Perugia ambiscono al “Gold Donor”. Ci arriveranno con una colletta che mette insieme una donazione di oltre mille euro. Anche gli studenti del classico Alessi si fanno sentire con le loro donazioni.

La campagna di raccolta fondi si chiude il novantesimo giorno, come stabilito, con le donazioni che continuano ad arrivare a rullo. Alla fine saranno 115.420 euro, arrivati da 750 soggetti. Obiettivo raggiunto. Tutto è pubblicato sul sito del Festival: nomi, donazioni, analisi e visualizzazione dei dati. Ma il tam tam in rete e sui social network ha innescato altri comportamenti virtuosi. Dalla casa madre di Seattle, si muove Amazon che decide di entrare tra i “main sponsor” del Festival, tradizionalmente Tim e Enel. La notizia non passa inosservata tra i commentatori internazionali: è la prima volta che Amazon sponsorizza una evento indipendente sui media. E lo fa in Italia, a Perugia. Anche Google decide di entrare tra gli sponsor, dove affianca Autostrade e Commissione europea.

E' a questo punto che Arianna e Chris possono annunciare la loro piccola grande vittoria: il Festival Internazionale di Giornalismo è salvo. L'ottava edizione si farà, a Perugia, come sempre, dal 30 aprile al 4 maggio 2014. Ma, come spesso accade quando ci si incammina sulla strada della sperimentazione e dell'innovazione, non si tratta più solo di un Festival. Si tratta di qualcosa di più grande, da studiare, analizzare, capire. “Cambiare verso” è possibile. Anche in un paese come l'Italia, dove il crowdfunding fino a poco fa era solo una parola da usare per riferirsi a realtà per lo più d'Oltreoceano.

Torna in mente il caso di “De Correspondent” - di cui pure si discuterà al Festival quest'anno - il sito web di informazione indipendente messo in piedi in Olanda grazie al sostegno dei lettori: un milione di euro raccolti in 30 giorni. Una ulteriore prova, se ancora servisse, che la qualità ha un prezzo e che non è vero che i lettori non sono disponibili a pagare l'informazione. Dipende anche dal tipo di informazione, come sempre.

Sarà dunque il Festival del giornalismo, con il suo esempio, a salvare il giornalismo dalle difficoltà e ristrettezze economiche che ne hanno pesantemente indebolito il modello economico? Meglio non generalizzare. Non basta chiedere soldi ai lettori per ottenerli. Il crowdfunding non è e non può essere una medicina che guarisce tutti i mali. Perché funzioni occorre la concomitanza di tanti fattori: lavoro, impegno, investimento di energie enormi e, soprattutto, un legame di fiducia forte con chi ti legge, una credibilità che non è solo la testata, ma la faccia dei giornalisti che ci lavorano. “E' una strada che puoi tentare quando già hai una storia alle spalle”, sintetizza Arianna, “è un biglietto da visita che ti puoi spendere se hai una comunità che ti conosce e si fida di te. Ma entrano in gioco anche fattori sentimentali e affettivi, le passioni. L'aspetto umano conta tanto. E, se tutti i fattori non sono al posto giusto, la cosa non funziona”.

Raccontata così sembra più un “lovefunding” che un “crowdfunding”. Ma, a pensarci bene, cosa c'è di meglio che spendere per le cose, o le persone, che amiamo?