A causa della crisi, contrabbando e furto di carburante prosperano: dieci miliardi di euro il giro d’affari. Con trasporti illegali dall’Est, gasolio per barche rivenduto ai distributori e tubi allacciati illegalmente alle raffinerie. Perfino piccoli buchi agli oleodotti

Un insolito incidente racconta quanto sia diffuso, ma anche pericoloso, il traffico illegale di carburante. Un business che, causa anche la crisi, è in crescita. Prima scena: nelle autocisterne in arrivo dall’Est Europa invece del latte si carica gasolio. Destinazione finale la Campania e soprattuto Napoli, epicentro del contrabbando con camion che riforniscono stazioni di servizio compiacenti. Seconda scena: durante il viaggio un rimorchio prende fuoco e viene abbandonato in autostrada, provocando un pauroso tamponamento a catena in una galleria nei pressi di Firenze.

Le indagini della Procura di Prato sono partite proprio da questo episodio: dodici mezzi pesanti e tre auto che si accartocciano, provocando un morto a causa del fumo sprigionato dall’incendio della cisterna da 27.000 litri.
Così è andato in fumo il prezioso carico, frutto di un traffico che parte da Polonia, Slovacchia e Slovenia per arrivare arriva nei depositi del Sud da dove viene poi rivenduto al mercato nero su scala nazionale.

Il traffico degli ottani è tornato in auge: a cavallo dei confini, evitando il pagamento delle accise, intercettando i tubi delle raffinerie. Assaltando i depositi. Organizzazioni ramificate e piccole bande sfidano i pericoli macinando milioni. Il motivo è semplice: sul costo ufficiale di 1,80 euro il margine di guadagno secco nel mercato «parallelo» è di un euro. Risultato? Cinque miliardi di accise non pagate nel 2013, un affare che vale dieci miliardi con l’ombra della malavita.

I ladri di benzina sembravano una cartolina sbiadita del passato, invece sono un’immagine moderna di lucrosi affari che garantiscono un mestiere per tutti. Con guardie e ladri che tornano a rincorrersi.
Al porto di Torre Annunziata, a pochi chilometri da Napoli, i barconi venivano utilizzati come cisterne. Per la pesca commerciale, d'altura e costiera, il diesel gode infatti dell’esenzione Iva: viene acquistato a prezzi oscillanti tra 0,63 e 0,73 euro al litro e rivenduto dai distributori a circa 1,75 euro. La differenza è tutto guadagno per le bande che usano le banchine come immense stazioni di servizio. Senza mai prendere il mare, i motopescherecci sono la perfetta copertura per rifornire il mercato nero.

«Il settore è costantemente sotto controllo perché crea danni ingenti alle casse dello Stato», spiega il comandante locale delle Fiamme Gialle, Carmine Virno, che in pochi mesi ha bloccato la truffa con i pescherecci e il rifornimento delle “navi fantasma”: 400 viaggi che sulla carta dovevano servire ai cargo di paesi extracomunitari (che godono anch’essi dello sconto sull’Iva), ma che nella realtà non esistevano. Tutto era organizzato per accaparrarsi carburante low cost. Valore dell’operazione-truffa: 10 milioni di euro.

Nella sola provincia napoletana la Finanza ha recuperato 53 milioni di euro in accise mai pagate nell’ultimo anno, migliaia di verbali, un giro d’affari da centinaia di milioni di euro e decine di sequestri. Stesso meccanismo messo in piedi in Puglia per il diesel agricolo: si acquista per far funzionare le macchine nei campi e si rivende sottobanco per il riscaldamento e riempire i serbatoi delle auto. Un'organizzazione ramificata, con tanto di impianto di distribuzione con una capacità di oltre 26 mila tonnellate, è stata scoperta dai carabinieri in provincia di Foggia. «È una delle nuove vocazioni all’illegalità. Il fenomeno è esteso perché il lucro è alto», spiega il magistrato di Nola, Maria Antonietta Troncone. Qui gli interessi della malavita si sovrappongono a quelli di imprenditori compiacenti che lucrano con le aree di servizio per coprire il denaro sporco.

Un fiume nero che attira gli appetiti dei gruppi criminali. Fino a spingersi direttamente nelle raffinerie. A Taranto tutto era organizzato nei minimi dettagli: durante le operazioni di carico i “maghi della super” riuscivano ad ingannare i controllori dell’Eni sul peso delle autocisterne grazie a zavorre invisibili e dipendenti complici.
Una volta superate le verifiche l’organizzazione non si accontentava: oltre alla truffa, il carico veniva allungato con materiale petrolifero di scarto, aumentando notevolmente i guadagni.

La raffineria pugliese è sempre bersagliata: poco oltre la recinzione un anno fa è stata scoperta un’articolata rete di tubazioni abusive e condutture dismesse attraverso le quali venivano sottratti ingenti quantitativi di carburanti. Un meticoloso lavoro di pompaggio che fruttava migliaia di euro. Il tutto ad opera di vere e proprie associazioni criminali che si muovono in tutta la Penisola per mettere a segno colpi milionari. Quella scoperta dalla Polizia in un anno ha “succhiato” dai depositi industriali nel Nord Italia gasolio per un valore di oltre 3 milioni e mezzo di euro, con colpi da almeno 100.000 litri per volta.

La banda di specialisti utilizzava degli autoarticolati parcheggiati alle porte di Verona muniti di pompe idrovore, per aspirare i preziosi carichi. Nulla era lasciato al caso secondo gli investigatori di Bari e Trento che li hanno pedinati per mesi: prima di entrare in azione venivano effettuati vari sopralluoghi per osservare i movimenti dei vigilantes in servizio. Decine di colpi sono stati messi a segno dal Friuli Venezia Giulia al Piemonte, passando dal Trentino e dal Veneto.

Furti, trucchi, manomissioni con l’unico obiettivo dell’oro nero. In Toscana dalla rottura dell'oleodotto Eni a San Miniato (Pisa) sono fuoriusciti circa 30 metri cubi di benzina raffinata. Gli autori del tentato furto hanno provato con un trapano a fare un foro sulla conduttura per sistemarci un piccolo rubinetto per poi prelevare periodicamente. Non avevano però pensato alla pressione che li ha investiti, invadendo i campi circostanti e la vicina ferrovia. I carabinieri li hanno trovati che si ripulivano ad una fontana. Un colpo che, per una volta, si è concluso con un flop.

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