Sull'introduzione degli e-book autoprodotti nelle scuole ecco l'opinione di Alessandro Laterza: "Una soluzione low cost che non porta necessariamente innovazione"
«Se ho una disfunzione cardiaca, vado da un cardiologo, non dal medico generico». L’editore
Alessandro Laterza mette in guardia contro i rischi dei libri autoprodotti da scuole e docenti. E vede nella tendenza più un modo per risparmiare che una vera innovazione didattica.
Perché anche il ministero “benedice” i libri fai-da-te? Siete preoccupati, come editori?«Non c’è mai stato un obbligo, da parte delle scuole, di adottare i libri di testo delle case editrici. La novità è che ora il ministero sottolinea questa libertà. Il fatto è che c’è sempre meno fiducia da parte delle famiglie nell’istituzione scolastica, così il libro di testo è considerato un balzello, non un’opportunità. Al momento è solo un’operazione low-cost. Un modo per risparmiare, comprensibile vista la difficoltà delle famiglie in questo momento, ma niente affatto innovativo dal punto di vista dell’educazione e della didattica».
Secondo lei il mondo della scuola non è in grado di sfruttare, dal basso, le opportunità dell’innovazione tecnologica?«Se cambia solo il supporto, e si mette sul digitale un testo che stava sulla carta, non c’è alcuna innovazione. Per fare applicazioni interessanti, servono investimenti considerevoli, una singola scuola non può introdurre rivoluzioni nella didattica. Quanto ai contenuti, poi, spesso i docenti sono molto più conservatori degli autori: l’autorialità non è un espediente delle case editrici, è una specializzazione».
Cosa pensa di Book in progress, una delle esperienze di autoproduzione dei libri?«È un servizio che la scuola decide di dare per ridurre i costi e anche per attrarre studenti. Ma non si tratta di un metodo innovativo nei contenuti, nei processi di conoscenza».