"Gravi carenze". Lo ripetono 27 volte, i magistrati della Corte di giustizia europea, nella sentenza che ha condannato l'Italia a restituire oltre 70 milioni di fondi europei destinati all'agricoltura. Una condanna causata da anni di malversazioni e truffe, noncuranza e inosservanza delle regole ma soprattutto dalla mancanza dei controlli, che ha consentito (non si sa quanto volontariamente) il prosperare di furbizie e latrocini.
Nel loro verdetto i giudici del Lussemburgo mettono in fila anni e anni di estenuanti carteggi fra Roma e Bruxelles, senza che le autorità italiane mettessero mai seriamente mano alle inadempienze. Come nel caso delle frodi degli agrumi in Calabria, oggetto anche di varie inchieste. Una truffa perfetta, realizzata con un metodo simile a quello messo in atto in Sicilia da Costa nostra, come ha raccontato l'Espresso: finte dichiarazioni di superfici coltivate e falsi contratti di proprietà e d'affitto, unicamente per accedere ai contributi europei. Chi doveva svolgere i controlli amministrativi e contabili non lo faceva, e così alla fine tutti i quintali di arance prodotte e lavorate risultavano solo sulla carta.
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Nella primavera del 2007 in Calabria sbarcarono anche gli ispettori della Commissione europea per verificare e rimasero basiti davanti a quello che videro. Tanto che alla fine, dopo aver mandato una lettera per chiedere di riparare le inefficienze, rifiutarono la conciliazione richiesta dall'Italia. Per un motivo molto semplice: non c'erano sufficienti rassicurazioni che i controlli da allora in poi sarebbero stati eseguiti né che le irregolarità sarebbero state individuate e punite.
Del resto all'epoca gli imbrogli andavano avanti già da tre anni e nel tempo sono stati oggetto di indagini - oltre che della magistratura - anche dell'Olaf, l'organismo comunitario antitruffe, tanto da spingere a parlare di un "meccanismo generalizzato". E le cose non sono cambiate: solo l'anno scorso l'Olaf ha scoperto in Calabria frodi per 11 milioni. Ebbene, tutto questo lassismo non passerà senza conseguenze, bensì comporterà una restituzione salatissima per il settore ortofrutticolo: 18 milioni di euro, un quarto degli aiuti previsti per l'intero comparto.
Altri 6,3 milioni (il 16 per cento dei fondi previsti inizialmente) saranno invece esclusi dal finanziamento comunitario per le irregolarità riscontrate nell'attività dell'Arbea, l'agenzia che si occupava delle erogazioni in agricoltura in Basilicata. Un carrozzone finito al centro di scandali, inchieste e condanne contabili per consulenze inutili che nel 2010 ha spinto il ministero a revocare lo status di ente pagatore. Anche in questo caso, per un semplice motivo: impossibile assicurare le necessarie garanzie di affidabilità sui controlli e i contributi erogati.
Ma la fetta più grande cui l'Italia dovrà dire addio sono i soldi che saranno stornati a causa delle infrazioni riscontrate nelle aziende agricole. Per accedere a finanziamenti europei, infatti, ogni impresario agricolo è tenuto a rispettare parametri ben precisi in tema di sicurezza alimentare, salute e benessere degli animali. Oltre, in primo luogo, al mantenimento dell’impresa in buone condizioni agronomiche e ambientali. Solo che molti coltivatori, badando unicamente ai quattrini, se ne sono infischiati delle regole. E nessuno si è mai peritato di multarli. Così adesso, per effetto della condanna, tutto il settore avrà a disposizione 48 milioni in meno.