Le intercettazioni che hanno permesso di "fermare" sei persone svelano che i clan eleggono i capi con il voto segreto e rispetto al passato chiedono più condivsione nelle scelte

A Palermo da una parte c'è una mafia melliflua, che riesce a piegare le proprie vittime del racket con l'intimidazione, e dall'altra c'è un'organizzazione criminale assolutamente sanguinaria che non ha dimenticato la violenza come parte costitutiva di Cosa nostra, dimostrando di avere ancora oggi una capacità di fuoco e una reazione militare che preoccupa investigatori e inquirenti. Perché, come dimostrano le indagini dei carabinieri di Palermo che hanno portato al fermo di sei persone su ordine dei magistrati della Procura distrettuale antimafia, ci sono uomini e mezzi capaci di reagire, armi in pugno, in poche ore e lasciare sull'asfalto le loro vittime.

A Palermo è accaduto lo scorso ottobre e oggi i pm guidati da Francesco Lo Voi hanno portato le prove che i boss non hanno perso la loro caratteristica violenta e sanno formare sicari capaci di infilare cinque colpi di fila nella schiena di una persona mentre scappa. Non è da tutti. Quindi, accanto alla forma di convincimento degli imprenditori e commercianti a pagare il pizzo, c'è ancora quella violenta per la quale Cosa nostra è conosciuta in tutto il mondo. Le intercettazioni hanno svelato che la cosca più vecchia di Palermo è tornata ad essere la più pericolosa. A guidarla, uno scarcerato eccellente degli ultimi tempi, Giuseppe Greco. Consigliere del capo, Salvatore Profeta, uno dei boss condannati per la strage Borsellino e poi scagionati. Era tornato in attività anche un altro degli scarcerati del caso Borsellino, Natale Gambino, pure lui chiamato in causa dal falso pentito Vincenzo Scarantino. Le indagini riguardano la famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù e avrebbero svelato il coinvolgimento della cosca nell'omicidio di Salvatore Sciacchitano e nel ferimento di Antonino Arizzi, avvenuti a Palermo il 3 ottobre scorso.
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Dalle attività investigative è emerso anche che i vertici del clan venivano designati attraverso elezioni a cui partecipavano uomini d'onore, secondo una prassi di cui i pentiti hanno parlato negli anni Ottanta. Alcuni dei fermati sarebbero coinvolti nell'agguato a Sciacchitano, punito per aver partecipato, poche ore prima di essere ucciso, al ferimento di Luigi Cona, personaggio vicino a Cosa nostra.

Il contesto in cui matura il fatto è importante, perché è quello di Santa Maria del Gesù, feudo di Stefano Bontate, il principe di Villagrazia, ucciso nel 1981 e poi di Pietro Aglieri. È nella zona di Villagrazia che parte tutto. Un anno fa, in una barberia, le microspie dei carabinieri intercettano una conversazione importante che dà la svolta alle indagini. I mafiosi che parlano descrivono un sistema di elezione del capo “reggente” e dei suoi collaboratori. In questo piccolo negozio da barbiere gli affiliati al clan scandiscono i ruoli e dicono che Giuseppe Greco è “il principale”, termine utilizzato per indicare il reggente della cosca. E poi fanno il nome del sottocapo e del capodecina e del collaboratore fidato del “principale”.

C'è un momento in cui parlano anche delle elezioni. Sì, perché dentro Cosa nostra si fanno anche le elezioni. E fanno riferimento agli anni Settanta in cui comandava Stefano Bontate, in cui si facevano le elezioni per scegliere il capo e vi partecipavano più di 120 affiliati. Oggi gli elettori mafiosi in questa zona di Palermo sono molto di meno, circa una ventina, ma il sistema di elezione sembra essere lo stesso: c'è come campagna elettorale che precede la scelta del nuovo capo. I votanti si riuniscono, riprendono le vecchie modalità, e indicano il nome del nuovo boss su una scheda elettorale, o un “pizzino”, come si faceva in passato, e questi biglietti, piegati venivano imbucati in una scatola di scarpe. I carabinieri adesso hanno documentato tutto, apprendendo anche i nuovi vertici della famiglia mafiosa.

Ritornare ai vecchi metodi è significativo, come pure far riferimento a Bontate. Nelle intercettazioni viene citato il “principe di Villafranca” come un esempio da seguire, ma era anche visto come un dittatore la cui parola era legge. Oggi però i boss vogliono “più democrazia”. Sembrerà strano ma anche i mafiosi non vogliono sottostare alle dittature. E così nelle intercettazioni fanno capire che le cose oggi sono cambiate, e c'è condivisione delle decisioni. Il “principe”, come dicono i mafiosi nelel conversazioni registrate, governava incontrastato ma oggi si governa con una visione più democratica.
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Occorre intanto sfatare il mito di Bontate.
Il pentito Francesco Marino Mannoia detto «Mozzarella» abbatte miti che Buscetta non aveva intaccato. Per esempio, quello "della mafia buona che non uccide" e non «tratta» l'eroina. Campione di questa categoria era stato ritenuto Bontate. «Niente vero. Don Stefano era esattamente come gli altri. Finiamola con queste sciocchezze: uccideva e si arricchiva con la droga». Parola di «Mozzarella», che di Bontate era stato angelo custode e «soldato». Qualche esempio? Un ladruncolo che lo aveva deriso per via della faccia gonfia «fu portato da Stefano Bontade che lo strangolò». Sorte analoga per un rapinatore che dava fastidio nel quartiere; in quel caso il commento del «principe» fu: «Ordinaria amministrazione». E frate Giacinto, il francescano ucciso nella sua «cella» dentro il convento del cimitero di Santa Maria del Gesù? «Mozzarella» chiede e Bontate spiega: «Era un puttaniere». Al giudice, Mannoia aggiungerà: «In passato aveva dato rifugio a latitanti di Cosa Nostra, ma da tempo non ci servivamo più di quel convento».

Adesso occorre guardare meglio agli atteggiamenti e ai comportamenti di questi nuovi boss. Gli investigatori lo hanno fatto e i pm hanno colto i nuovi segnali che arrivano dai clan.

Certo fa impressione ascoltare alcune registrazioni in cui c'è un mafioso che inizia a cantare “volare” dopo aver sentito i colpi di pistola sparati da un suo compare che ha ucciso un uomo.

Alcune conversazioni si sentivano trent'anni fa tra i mafiosi, adesso i toni sembrano essere tonati tali. Anche se occorre tener presente che l'omicidio dal quale parte l'indagine è stato compiuto lo scorso ottobre e in due mesi l'organizzazione è stata scoperta. I mafiosi dovrebbero capire che non hanno dove andare, che vengono beccati subito. Ma occorre constatare che questi personaggi che hanno ancora come mito Bontate non sanno cos'altro fare. Sanno solo mafiare, e l'arresto lo mettono in conto. Un po meno, però, la condanna all'ergastolo.

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